FATTI AD ARTE

APOLLO E DAFNE DI GIAN LORENZO BERNINI

di Stefano Di Palma

Tra i più grandi capolavori d’ogni tempo, in quest’opera, si avvicendano le istanze, il gusto e la mentalità cari all’estetica che si afferma nel periodo Barocco. Pathos e sensualità, fantasia e tensione delle forme nonché palpitante partecipazione che sfocia in grande stupore, qualificano gli esiti della trasmissione della favola antica in questo gruppo scultoreo  come anche di tanta operosa produzione del suo geniale autore.

Gian Lorenzo Bernini creò per il cardinale Scipione Borghese, grande mecenate e spregiudicato nipote di papa Paolo V Borghese, diverse opere; quella in esame, conservata nella Galleria Borghese di Roma, è stata iniziata dall’artista a ventiquattro anni ed eseguita tra il 1622 e il 1625. Il soggetto ricorda la metamorfosi in alloro della casta ninfa Dafne, inseguita invano da Apollo, dio che intende possederla. Il Bernini consegna all’eternità l’istante in cui l’inseguimento si arresta; si tratta dello slancio finale che qualifica il vertice della vicenda: il corpo della ninfa inarcato si sta tramutando in albero e la presa di Apollo non trova più la liscia pelle di Dafne ma la dura scorza di un tronco.

Come è stato evidenziato, Bernini concepì le due figure in un moto avvolgente che tutto sembra trascinare come in un vortice; tale movimento identifica l’andamento sbilanciato dei corpi dei protagonisti, i capelli gonfiati dal vento, l’animato panneggio degli indumenti di Apollo, la pungente restituzione dei capelli di Dafne che confinano con le tenere foglie che spuntano dalle sue dita. La straordinaria rivoluzione impressa dal Bernini nella statuaria si basa proprio su questo nuovo senso del movimento inusitato in età antica e rinascimentale (cfr. A. ANGELINI, 2005). In origine anche la diversa collocazione di questa scultura (sempre nella Villa) doveva alimentare maggiormente l’effetto di stupore che già connota la sua visione. L’opera stava su una base più bassa e stretta, appoggiata alla parete verso una scala; a chi entrava nell’ambiente appariva dunque Apollo in corsa che si presentava di spalle garantendo l’esaltazione della fuga della ninfa e della crescita della sua metamorfosi. La presenza di questa favola pagana nella casa del cardinale Borghese fu giustificata con un distico morale composto in latino dal cardinale Maffeo Barberini (futuro papa Urbano VIII) e inciso nel cartiglio della base, che recita: “chi ama seguire le fuggenti forme dei divertimenti, alla fine si trova foglie e bacche amare nella mano”. Quando nel 1785 Marcantonio Borghese desiderò collocare l’opera al centro della sala, Vincenzo Pacetti disegnò l’attuale base utilizzando i pezzi originali, integrando con del gesso il plinto del gruppo e facendo aggiungere un altro cartiglio con l’aquila Borghese, scolpito da Lorenzo Cardelli (cfr. K. HERMANN FIORE, 2000).

Giunto a Roma nel 1605 insieme al padre Pietro, Bernini rivelò il suo talento con quella che viene considerata la prima sua opera personale, ovvero il gruppo marmoreo raffigurante la Capra Amaltea con Giove infante e un satiro conservato nella stessa Galleria Borghese. Quest’opera per la particolarità del soggetto, il gusto della composizione, la finezza della tecnica esecutiva, è stata per diverso tempo ritenuta erroneamente come prodotto dell’arte ellenistica. Dallo studio della scultura antica e dalla pratica di restaurare opere antiche derivano molte caratteristiche formali e tecniche delle opere giovanili di Bernini: il ritmo dinamico, la sensibilità del modellato, la grande cura del particolare anatomico e naturalistico (cfr. F. NEGRI ARNOLDI, 2004). Una simile adesione all’antico è ben espresso in questo gruppo sia a livello estetico sia contenutistico visto che la resa della fisionomia del dio pagano è una rielaborazione, piegata all’esigenza, tratta dal famoso Apollo del Belvedere mentre l’incontro della mano di Apollo con la corteccia che avvolge gran parte del corpo della ninfa, richiama visivamente i versi di Ovidio il quale narra che, durante la trasformazione, sotto il legno il dio sente ancora il battito del cuore di Dafne.