Degenerazioni - Memorie di un assassino Notizie

DEGENERAZIONE – MEMORIE DI UN ASSASSINO. XXVIII CAPITOLO – ‘INCUBI’

CAP XXVIII
INCUBI

Rincasato a Firenze informai Valeria sulle nuove disposizioni, e ci preparammo per partire alle prime luci. Quella notte fui svegliato da una chiamata, era lei che mi chiedeva con voce sconvolta di raggiungerla al suo appartamento. Quando arrivai la trovai agitata più che mai, il suo volto indicava un serio stato di ansia e paura. Tentai di calmarla parlandole sommessamente e notai un forte odore di alcool. Mi raccontò di aver passato la serata a bere nel tentativo di sciogliere la tensione che la opprimeva, e che non le dava possibilità di prendere sonno, quando a un tratto, la sbornia fece il suo corso lasciandola cadere in un sonno disturbato, come colpita da una mazzolata alla nuca. Sognò disse, che l’operazione a Napoli sarebbe volta in tragedia, e che io per proteggerla ero rimasto ucciso violentemente in un corpo a corpo con uno dei malviventi ingaggiati nella rapina. Le lagrime uscivano copiosamente dai suoi occhi a dimostrazione che aveva vissuto un vero incubo crudo e sanguinolento, e che la tensione che l’attanagliava era l’esplosione dei sentimenti che non aveva ancora realizzato nelle operazioni precedenti. Cominciava a fare i conti con la realtà. Fino ad ora aveva immaginato il nostro lavoro come quello degli eroi che si vedono sulla pellicola del suo amato cinema, azione, distrazioni, viaggi e divertimento, ma invece nel mondo reale c’è sangue paura e incertezza sulla vita e la morte tanto da tenerti sveglio la notte o da violentarti la mente nei sogni. Non c’è pace per noi. Non c’è pace per nessun tipo di soldato qualunque sia la guerra che combatta, o il terreno in cui si svolge. Decisi di rimanere da lei per farla sentire più protetta, così bevemmo qualcosa e parlammo mentre fumavamo come ciminiere, poi lei tornò sull’argomento e mi disse che aveva capito che per quello che facevamo non c’era certezza del domani, cominciò a dichiarare i suoi sentimenti sottolineando quanto non fosse giusto che tra noi ci fosse quella barriera che ci separava fisicamente ed emotivamente, un muro sottile e trasparente che non ci permetteva di esprimere il desiderio che entrambe condividevamo, una passione gambizzata, un amore incatenato in una cella senza pareti. Si avvicinò dunque sedendosi sulle mie gambe, si tolse la maglietta e cominciò a baciarmi. In quel momento non ero affatto confuso, anzi le sue parole avevano un senso per me perché io quella vita desolata e distaccata dal mondo l’avevo vissuta, e ogni giorno che passavo con quella donna mi rendevo sempre di più conto che non avrei mai potuto incontrare una personalità così perfetta racchiusa in corpo devoto solo a me. C’era Axelle, ma forse non l’avrei mai più rivista. Forse il mio sangue avrebbe macchiato presto l’asfalto di chissà quale città e io nell’aldilà mi sarei disperato eternamente di essermi lasciato sfuggire l’amore di questa donna meravigliosa. Facemmo l’amore tutta la notte e le promisi che mi sarei occupato di lei per tutta la vita. Le dissi che l’amavo. Al mattino ci svegliammo intontiti dall’alcool, ma felici di essere vivi insieme. Facemmo una rapida colazione per poi saltare in macchina e partire per Napoli. Durante il viaggio parlammo e ridemmo come se stessimo facendo una vacanza di piacere, la sua mano sfiorava la mia ed il suo viso era disteso e pieno di luce. Per quanto riguarda me anche io ero felice ma interiormente ero concentrato sull’azione che stavamo per svolgere, e sul peso che avrebbe avuto sul resto dell’operazione, che da lì, avrebbe stravolto le sorti dell’inconsapevole Italia, allo scuro di questa guerra segreta che avrebbe determinato il futuro di un intero popolo. Sulla strada ebbi la sensazione di essere seguito, ma non riuscii ad averne la certezza, perciò pensai di tendere una trappola come si fa quando si pensa di avere un topo in casa, si posiziona la trappola per poi scoprire il giorno dopo se i propri dubbi erano una realtà. Ci fermammo in un autogrill all’altezza di Arezzo, scendemmo prendemmo un caffè, fumammo qualche sigaretta mentre memorizzavo ogni singola vettura entrante o uscente dal parcheggio, compreso i lineamenti delle figure a bordo. Dopo mezz’ora ripartimmo. Di nuovo sosta a Montepulciano, stessa procedura. Sosta ad Orte per il pranzo, avevamo notato che una Giulietta blu notte aveva partecipato alle prime due soste, poi il pilota cercando di camuffarsi alla meglio aveva sostituito la sua vettura con una spider verde bottiglia ma noi apparentemente indifferenti abbiamo notato la serie di incongruenze che il nostro inseguitore aveva maldestramente messo in luce. Il topo era in trappola, non restava che eliminarlo. Decisi di aspettare un po’ per non insospettirlo così la scelta sul punto in cui intervenire cadde su Frascati. Lì da giovane conobbi una donna di origine romane che mi tenne nascosto dopo un conflitto a fuoco a causa della mal riuscita di una operazione in cui il mio addestratore rimase ucciso. Dovetti darmi alla fuga, ma svenni in un vicolo, tanto erano gravi le mie condizioni, la donna mi raccolse mi portò in casa sua e mi fece curare da un dottore suo amico. Fui suo ospite per dire così, per circa due mesi e stabilimmo un rapporto particolare… io le dovevo la vita, ricordo che non chiese mai niente di me, forse perché si aspettava che un ragazzo con quelle ferite non avrebbe mai detto la verità, o forse non le importava affatto… il suo nome era Francesca, musa era il suo soprannome e le piaceva così tanto che si faceva chiamare da tutti così. Le volevo bene, forse qualcosa in più. Anche se non l’avrei forse rivista mai più, era diventata parte della mia vita. Mi aveva dato il suo tempo, ed è la cosa più preziosa che qualcuno può darti. Il tempo. Arrivati a Frascati presi per viale Fermi e attraverso via Tuscolana entrai in città. Mi diressi verso nord attento a non farmi perdere di vista, poi nei pressi dell’istituto Maffeo Pantaleoni fermai la macchina, feci scendere Valeria che si appostò dietro il muro d’ingresso mentre io aprii il cofano fingendo un guasto nell’impianto del veicolo. Come previsto la spider verde passò lentamente fino a fermarsi, non aveva scelta doveva agire subito o sarebbe salta la sua copertura, perciò si accostò chiedendo se servisse aiuto.

-salve si trova in difficoltà con l’auto?-

-beh, si… non so cosa sia successo… sono venuto con mia moglie in vacanza da alcuni parenti, e proprio adesso questo rottame ha deciso di piantarmi in asso proprio in mezzo alla strada!-

-non vedo sua moglie… per caso avete litigato?-

-no no, è andata a cercare un meccanico a piedi, lei è più pratica del posto, praticamente ci è cresciuta qui… ha studiato proprio in questo istituto…-

-guardi che combinazione, dopotutto lei non è così sfortunato sa? Io sono un meccanico ed ho l’officina proprio qui dietro in via Castello… può lasciare un biglietto a sua moglie nel caso tornasse e venire con me a prendere il rimorchio… sicuramente faremo prima noi a tornare…-

-lei è stato mandato dalla provvidenza, con questo caldo è da pazzi rimanere in strada, se non le dispiace mentre scrivo il messaggio potrebbe chiudere il cofano per cortesia? Sarebbe molto gentile-

Non appena l’uomo si accinse chino sotto il portellone, Valeria uscì dall’angolo piazzandogli la sua Glock 17 alla schiena, intimandogli di rimanere immobile.

-ora chiudi il cofano e sali davanti senza fiatare-

L’uomo obbedì senza fare una piega, poi entrammo in macchina partendo a gran velocità. Valeria era dietro di lui e lo teneva sotto tiro costante mentre io ero alla guida. Cercavamo un posto isolato per condurre al meglio l’interrogatorio, ma successe l’imprevedibile, l’uomo si lanciò dall’auto in corsa ma sfortunatamente per tutti finì con la testa contro lo spigolo di un marciapiede che lo aprì come un anguria… non potevamo fare altro che allontanarci di gran fretta e riprendere il viaggio stando sempre all’erta nel caso ci fossero altri pedinatori. La cosa scosse alquanto Valeria che cominciava a mettere in dubbio l’infallibilità della Killer Karman, diceva che si trattava sicuramente della spiata di una talpa nell’organizzazione che poteva addirittura nascondersi tra i sette. Cercai di farle capire che il suo dubbio non era motivato, e che la possibilità che uno dei sette fosse un traditore era totalmente da escludere, forse se qualche notizia fosse trapelata era proprio da Napoli che aveva avuto voce, perciò bisognava stare attenti, qualcosa non funzionava. Valeria volle fermarsi qualche ora in un albergo a Caserta per avvisare Aprile dell’accaduto e per riflettere su come muoversi al meglio. In risposta al nostro rapporto Aprile ci consigliò di rimandare di un giorno l’arrivo a Napoli cosicché potesse far avviare una veloce indagine interna. L’ordine era di rimanere sigillati in albergo senza avere nessun genere di contatto, nemmeno con il servizio in camera. Bloccammo la porta con l’armadio puntellandolo con altri mobili così da non doverci preoccupare durante notte. Passai le prime ore alla finestra per controllare se qualcosa di insolito si presentava, ma sembrava che fosse tutto in ordine, così preso dalla stanchezza mi coricai sul letto, stanco dal viaggio e dalla tensione accumulata… il caldo però non mi lasciava rilassarmi, perciò mi diressi in bagno per fare una doccia fredda. Lo stemperamento dovuto dall’acqua mi faceva sentire rigenerato e calmo. Ero li immobile a godermi quella sensazione sotto lo scroscio della doccia che faceva scorrere l’acqua su tutto il mio corpo scivolando dolcemente, ero con la testa in un altro mondo, non pensavo a nulla in particolare ero semplicemente scollegato mentre mi godevo quegli attimi di relax. Non mi accorsi di nulla quando sentii la mano di Valeria sulla spalla che scendeva sul braccio per poi voltarmi delicatamente, senza esercitare troppa pressione. Mi baciò, la guardai per un attimo e lei sorrise percependo nel mio sguardo il sentimento che mi provocava, e la baciai a lungo. Passammo di nuovo tutta la notte a letto, nudi, ad amarci. Al mattino ricevemmo una chiamata da Aprile che ci informava dell’esito dell’indagine, erano tutti puliti. Se fossimo riusciti a risalire all’identità dell’inseguitore o fornendo il corpo ai nostri avremmo potuto sapere, da parte di chi era partito l’ordine, ma così eravamo allo scuro di tutto, non  restava che seguire il piano ed essere prudenti. Raggiungemmo Napoli dirigendoci subito al luogo dell’incontro in cui venimmo istruiti dal capo del reparto che ci avrebbe appoggiato. Ci informarono subito che la rapina era stata anticipata largamente a causa degli eventi di cui eravamo fautori. Il numero degli uomini che avrebbe dovuto impiegare Benedetti si aggirava a dieci, quattro sarebbero entrati nella banca, due erano i piloti che avrebbero aspettato a motore acceso mentre i restanti quattro avrebbero dovuto occuparsi di bloccare le strade secondarie che portavano alla banca. Anche il nostro corpo di assalto era composto di dieci uomini, ognuno copriva un uomo. Tre dei nostri erano cecchini scelti che si sarebbero appostati sull’edificio opposto all’ingresso della banca. Il capo reparto aveva saputo che l’azione si sarebbe svolta intorno alle nove di mattina, prima che il portavalori spostasse il grosso della somma, tirò fuori una piantina della banca e delle foto dello spazio esterno su cui costruimmo le disposizioni e le postazioni degli uomini, cercando di ipotizzare il movimento nemico e la tattica da utilizzare in merito. Io e quattro uomini saremmo entrati in precedenza nella banca fingendoci clienti, per questo ci saremmo armati di pistole in ceramica invisibili al metal detector, i tre cecchini si sarebbero posizionati su tre livelli differenti del palazzo di fronte, uno travestito da barbone  davanti l’ingresso per incrociare il fuoco con i cecchini mentre Valeria si sarebbe posizionata in fondo alla strada alla guida di un’auto pronta a partire in caso dovessimo inseguire qualche superstite. Valeria mi chiese perché dovevamo occuparcene noi, secondo lei bastava avvisare la polizia e senza sforzo né rischi di alcun genere avremmo ottenuto un buon risultato, la differenza le spiegai era che noi non sapevamo quanto la loro organizzazione era radicata e magari si sarebbero serviti proprio di agenti, dato che Benedetti era un maresciallo dei carabinieri, ma soprattutto noi eravamo Killer Karman, e che l’imminente e violenta campagna primavera di fuoco prevedeva l’eliminazione di tutti i nemici della patria senza alcuna pietà. Passai subito in ricognizione tutti gli uomini e le loro armi, li tenni allo scuro del piano, e del giorno convenuto per entrare in azione, solo io Valeria ed il capo reparto sapevamo, così non ci sarebbe stata neppure la più remota possibilità di una fuga di notizie. Ci congedammo chiedendo reperibilità assoluta alla squadra nell’arco di cinque giorni da quel momento e ci ritirammo in una stanza di albergo per riposare. Avevo notato tutti gli sguardi posati su Valeria, l’avevano squadrata appetitosamente come si fa per una buona pietanza, ma a me non aveva dato alcun fastidio, non sarebbe stato normale che una bellezza simile passasse inosservata, avrebbe fatto gola a chiunque perciò mi sono insospettito quando ho notato che c’era un uomo che non le aveva prestato la benché minima attenzione, sembrava che tutta la sua concentrazione era indirizzata sul carpire informazioni che provenivano dal nostro tavolo di discussione. Forse era solamente nervoso, perché insolitamente, non era a conoscenza del piano d’azione in cui avrebbe potuto anche lasciarci la pelle, o forse era uno di quegli esaltati che non vedevano l’ora di riempire qualche corpo di piombo, bramosi di sangue e vogliosi di azione. Comunque sia non mi piaceva, per questo ritiratomi in albergo contattai subito Aprile affinchè indagasse in particolare su quel soldato. In risposta non ci furono notizie allarmanti perciò bisognava procedere, ma tenendo conto della cosa bisognava essere cauti. Passai la notte a rivisitare il piano e le possibili complicazioni, Valeria era preoccupata e mi chiedeva continuamente di abbandonare la missione

-che lo faccia qualcun altro… non sei tenuto a rischiare la tua vita ogni maledetto giorno, ti stanno spremendo fino all’ultima goccia perché sanno che tu non sai tirarti indietro… se continuerai così morirai prima del tuo tempo e in modo violento! Lascia tutto… fallo per me te ne prego… andiamo via… possiamo vivere una vita normale lontano da tutto questo, ora hai me… hai promesso… hai promesso di prenderti cura di noi… –

Per quanto io desiderassi darle ascolto sapevo che il mio compito era troppo importante e andava portato a termine.

-è vero ho giurato, ma c’è stato un altro giuramento che mi ha legato alla KK e cadrà solamente con primavera di fuoco!-

Valeria abbassò la testa come fosse stata sconfitta, e tra le lagrime con voce spezzata e sommessa disse

-hai dato già tutto te stesso, non devi dare anche la tua vita-

Si accucciò sul letto singhiozzando, allora le andai vicino per confortarla

-non mi succederà niente, ora cerchiamo di riposare, pensa solamente che tra qualche giorno saremo liberi. Finirà tutto molto presto-

Si calmò subito, e stringendo la mia mano nella sua cercò di prendere sonno. Avevo intrapreso innumerevoli missioni, alcune molto pericolose da cui ero uscito quasi per miracolo. Ero stato ferito molte volte, ero stato catturato, interrogato, gettato in carcere, picchiato, inseguito e ricercato… praticamente avevo messo la mia vita a repentaglio tante di quelle volte che avevo perso il conto, ma quella donna per la prima volta mi gettò in uno stato dubbioso che non avevo mai provato prima, un po’ di paura c’è sempre quando bisogna affrontare delle situazioni difficili, è umano direi, ma non ho mai temuto così tanto per me come quella sera, e mentre la guardavo dormire pensavo che per una volta avevo tutto da perdere. Ripensai ad Axelle e decisi di telefonarle anche se Aprile mi disse che non era preferibile come sistema di contatto, ma al diavolo volevo sentire la sua voce per capire se stavo facendo la cosa giusta, così uscii per chiamare da una cabina in strada. All’altro capo dell’apparecchio rispose suo fratello Alexandre

-ciao Francesco ma che grande sorpresa, come stai? Sei in Italia?-

-ciao amico mio, io sto bene e si sono in Italia… tu? Tutto a posto? e la pesca?-

-si va tutto bene qui, la pesca in mare da sempre risultati generosi per chi ha voglia di cimentarsi con prede di una certa taglia…-

-scusami se sono un po’ diretto ma ho poco tempo a disposizione… tua sorella è in casa?-

-beh, si… ma… non credo abbia voglia di parlare con te…-

-ma che stai dicendo… è successo qualcosa?-

-il fatto è che… tu sei un personaggio di cui si parla molto all’interno dell’organizzazione dovresti saperlo oramai…-

-arriva al punto-

-sai che tutti parlano delle tue… gesta diciamo, i più giovani ti vedono come un idolo…-

-avanti parla… dimmi cosa si è detto…-

-beh… si dice che sei circondato di belle donne e soprattutto si parla in particolare di una donna stupenda che hai preso sotto la tua ala, che abita con te e che è diventata la tua donna…-

-ma che diavolo…-

-io ho cercato di farle capire che si tratta solo di voci, magari è anche vero che le donne ti corrono dietro, sei un uomo importante e con un certo stile ma non credo tu sia il tipo del donnaiolo… per quanto riguarda la ragazza che è con te potrei anche capire… sono tre anni ormai che sei lontano da Axelle e…-

-senti ti ringrazio della fiducia, però vorrei poter spiegare io stesso ad Axelle cosa sta succedendo con Valeria… per quanto riguarda le voci su tutte quelle donne sono solo cazzate-

-cercherò di convincerla ad ascoltarti, ma ora sono sicuro che non lo farà. Ti farò sapere io quando sarà pronta, e non scrivere tanto non leggerà nulla, le ultime lettere le gettò nel camino senza nemmeno aprirle-

-Ti ringrazio Alexandre sei un bravo ragazzo-

-non devi ringraziarmi mi fa piacere aiutarti-

-ora devi scusarmi ma devo andare, domani ho un impegno importante, ti saluto-

Riagganciai ma rimasi ancora un minuto nella cabina con l’amaro che la notizia mi aveva lasciato, uscendo poi decisi di andare a bere un paio di bicchieri prima di tornare all’albergo. Non furono due bicchieri. Quando mi sdraiai al fianco di Valeria si svegliò e notò subito che puzzavo di alcool. Ero ubriaco. Non mi disse nulla ma il suo sguardo parlò. Buio. Le ombre si muovevano nella notte, alcune vagavano senza scopo ne meta. I letti erano pieni nelle case lungo le strade e le finestre erano aperte sui muri roventi del giorno. Pioggia. L’acqua cominciava a scendere promettendo un sonno decente… gli uomini ancora in circolazione non si affrettavano a ripararsi dagli schizzi del cielo, ma godevano di quel momento muovendosi disinvolti sugli usci. Afa. Un leggero vento portava ai nasi quell’odore misto di caldo e polvere che le prime acque estive tirano su dalle strade unte di olio di motore. Ore lunghe, paesaggi pericolosi, gente di mal affare e donne a pagamento, accattoni, tagliaborse, barboni ubriachi e indifferenti, vicoli stretti e linguaggi da strada, gergo, tradizioni, ragazzi tristi, violenza, bellezza, voci, rumori nella notte, dignità, disperazione, semplicità, cuore, la strada. Quella notte feci un sogno a cui non riuscii a dare un senso. Ero in giro, c’erano cadaveri disseminati ovunque, alcuni avevano le budella di fuori e il puzzo era insopportabile. Uomini donne e bambini. Il sangue aveva tinto di rosso ogni cosa e io non capivo cosa fosse successo. Cercai qualcuno da soccorrere ma nessuno era rimasto in vita. Alcuni corpi erano stati crivellati dai proiettili riducendoli a brandelli di carne. D’improvviso scivolai su una pozza di sangue battendo forte la testa a terra, quando mi rialzai ero nudo, stordito, coperto di sangue… non c’era più nessuno… guardai a terra e vidi Valeria completamente sventrata, e mi accorsi di stringere un grosso pugnale nella mano destra… cosa avevo fatto, l’avevo uccisa io? Improvvisamente sentii una forte presenza alle mie spalle ma non riuscivo a voltarmi… non capivo se si trattava di una minaccia, e cominciai a correre, ma non avevo le forze necessarie, mi muovevo a rallentatore e lo stato di ansia cresceva. Alla fine della lunga strada c’erano delle figure che non riuscivo a distinguere… cercai di chiamarle invocando aiuto e cominciai a cadere come un bimbo ai suoi primi passi, allora cercai di trascinarmi ma qualcosa mi lacerava la schiena… unghie affilate, artigli… non riuscivo a voltarmi… fui afferrato per le gambe e scaraventato a terra, ma invece che impattare con l’asfalto caddi in una buca molto profonda. Riuscivo a vedere l’esterno dalla profondità ma non potevo rialzarmi ero a pezzi. Altre figure indistinguibili si radunavano attorno ai margini della fossa puntando il dito verso di me, mentre in coro facevano riecheggiare delle parole inizialmente incomprensibili che crescevano di ritmo e intensità, “cenere alla cenere” questo stavano dicendo, e d’un tratto mi accorsi che ero in una tomba. Cominciai ad urlare, chiesi cosa volessero da me, ma il loro coro asincrono cresceva smisuratamente finché cominciarono ad arrivare fiotti di terra sul mio corpo martoriato. Mi stavano seppellendo vivo! Urlavo sempre più forte finché la terra non mi arrivò in gola

-aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhhhhhhhh!-

-cosa c’è amore? Calmati è solo un brutto sogno-

Disse Valeria scuotendomi e passandomi la mano sul viso zuppo di sudore

-è tutto finito, hai bevuto troppo, vado a prenderti un bicchiere di acqua fresca, e se vorrai mi racconterai tutto-

-no, non posso più dormire oramai… prendi l’acqua e porta le sigarette per favore-

Quell’incubo mi aveva spaventato a morte. La realtà che si costruisce nei sogni è pazzesca, sembra tutto così dannatamente vero, tutti quei dettagli… è incredibile, e non riuscivo a dargli un senso. Valeria mi guardava preoccupata, mentre la fissavo mi riveniva in mente la scena in cui lei era morta ai mie piedi forse per mano mia… cominciai a pensare che il senso di quella parte del sogno era che se avessi continuato a stare con lei facendole fare questo tipo di vita l’avrei uccisa dentro. Finita l’operazione le avrei spiegato, doveva avere una vita sua e al sicuro da me e tutta questa violenza. Dovevo andare via, tornare da Axelle se mi avesse voluto ma solo dopo aver restituito a Valeria la libertà e la spensieratezza. La amavo, ma amare vuol dire anche lasciar andare. Facemmo una riunione con la squadra alle prime luci mettendo in chiaro tutte le coordinate del piano, ripassando per filo e per segno ogni ruolo e ogni posizione. Ispezionammo tutte le armi ed i dispositivi di comunicazione senza fili che ogni membro aveva a disposizione, per evitare degli imprevisti che l’operazione avrebbe potuto generare. Eravamo sintonizzati tutti sulla stessa frequenza su cui bisognava mantenere il silenzio. I cecchini avrebbero aperto le comunicazioni indicando a tutti il movimento d’ingresso del gruppo nemico, poi io ed il capo reparto avevamo il compito di dare inizio all’azione in cui tutti sarebbero intervenuti simultaneamente, da lì il canale era aperto a tutti. Ognuno aveva il suoi ordini da portare a termine che andavano comunicati a compimento. C’era tensione nell’aria, qualcuno si faceva il segno della croce come buon auspicio perché alcuni scontri sarebbero stati ravvicinati e molto rischiosi. Io mi ero procurato un pugnale in plastica che tenevo alla caviglia destra, mentre al braccio destro, come per i miei due compagni, avevo uno di quei dispositivi a scatto che estraggono la pistola in ceramica invisibile al detector. Io mi sentivo uno straccio per come avevo passato la notte e cercavo di allontanare la mente da quelle immagini orribili che avevo rivissuto nell’incubo in cui cercavo un filo conduttore con la realtà, però almeno sapendo Valeria al sicuro avevo una preoccupazione in meno cui far fronte. Lei era invece preoccupata per me. Verso le otto eravamo sul posto e prendevamo lentamente posizione uno la volta, senza fretta, così da non essere sospetti. I tre cecchini tenevano già la strada sott’occhio, praticamente la dominavano. Il nostro uomo che doveva occupare l’esterno della banca era già a terra, camuffato da mendicante con un cartello addosso, ed un cappello che già raccoglieva qualche spicciolo. Quando vidi Valeria prendere posizione, in ordine sparso, io ed i quattro uomini che mi avrebbero supportato entrammo nella banca, qualcuno lasciò anche l’elemosina al nostro barbone. Il capo reparto si diresse immediatamente nell’ufficio del direttore con cui aveva precedentemente preso appuntamento con la scusa di voler aprire un conto speciale, tutto tirato a lucido e in abiti eleganti. Altri due si mescolarono alle fila degli sportelli, mentre io e quel ragazzo che mi era sembrato sospetto durante il primo incontro alla base di Napoli, ci eravamo sistemati su alcune sedie in una specie di angolo d’attesa che dava sulla strada. Ci eravamo disposti in modo da poter tenere la sala sotto controllo con un fuoco incrociato, l’unica cosa che non mi piaceva affatto era la guardia di sicurezza all’ingresso che non sembrava affatto il genere di sbirro che si vede di solito in giro. Avevo notato che dal polsino della camicia spuntava a malapena un tatuaggio che sembrava fatto in galera tanto era semplice e sconnesso. Era della partita, un infame, ma non potevo comunicarlo. Toccava a me tenerlo d’occhio. Si fecero presto le nove, ora dell’imboscata, ma non succedeva nulla… il capo squadra temporeggiava con il direttore per non perdere la posizione e se fosse andato avanti così avrebbe cominciato ad insospettire l’anziano uomo che lo ospitava. Anche gli altri sembravano in difficoltà, le fila scorrevano e loro cominciavano a trovarsi imbottigliati tra la gente nuova che faceva ingresso… la tensione saliva. Mentre il tempo scorreva gli uomini cominciavano a lasciare obbligatoriamente le posizioni prestabilite, l’orologio puntava le dieci meno venti. Cercammo di non far saltare la copertura però temporeggiando al limite delle nostre possibilità di movimento, quand’ecco che il silenzio radio venne interrotto all’improvviso e inaspettato, sicuramente stavano tutti pensando che la rapina era stata evidentemente posticipata…

-in posizione…-

Segnalò il cecchino di vedetta ai piani alti

-movimento sospetto sulla strada… due furgoni uno azzurro e uno grigio scuro hanno preso posizione davanti la banca… –

Eravamo in ballo, quello era il momento in cui il sangue nelle nostre vene si fermò

-due squadre di uomini armati di kalashnikov scendono e prendono posizione… attenzione… quei bastardi sono di più di quello che speravamo…-

In quel momento io e i ragazzi ci fissammo, alcuni avevano stampato in volto un espressione che diceva chiaramente “cazzo siamo spacciati!” io feci segno al capo squadra con gli occhi indicando la guardia all’ingresso, e lui capì al volo avvicinandosi con fare spigliato ma con distacco, prese a parlare per guadagnare tempo chiedendo l’orario e da accendere.

-sono otto in strada e sei stanno per varcare la soglia d’ingresso, tenetevi pronti… attendiamo l’ordine passo-

All’interno della banca cercammo di occupare la superficie distanziandoci il più possibile per ottenere un effetto sorpresa che ci avrebbe dato vantaggio e sorpresa, dato che eravamo inferiori numericamente. Dalla mia postazione vidi avvicinarsi di gran fretta il commando che entrò di volata, grazie al sostegno della guardia che disattivò il metal detector con un congegno artigianale tirato fuori dal taschino, per poi spalancare la porta. Non potevamo dargli tempo di posizionarsi una volta fatto ingresso, perché così poi avrebbero avuto tutto il locale sotto controllo, perciò appena l’ultimo dei sei fece capolino diedi l’ordine di entrare in azione. Estraemmo tutti contemporaneamente le nostre pistole ed il primo a perdere la vita fu proprio il guardiano, che appena cominciò a rendersi conto della nostra presenza, cadde per mano del capo squadra che esplose un colpo a bruciapelo sulla nuca dell’uomo. In un attimo dentro e fuori della stanza si scatenò una vera e propria guerra. Devo dire che difronte non avevamo degli sprovveduti, ma si trattava sicuramente di ex militari perché gestirono la situazione al meglio, calcolando che non si aspettavano la controffensiva che rappresentavamo. Uno saltò dietro il bancone prendendo subito un ostaggio mentre un altro si barricò nell’ufficio dello sventurato direttore che era stato ferito e giaceva a terra con un orecchio spappolato da una pallottola vagante. Fuori i cecchini si erano dati un gran da fare incrociando il fuoco con l’uomo all’ingresso che aveva subito messo fuori uso i furgoni e ucciso i piloti, ma purtroppo era stato raggiunto da un colpo alla rotula facendolo letteralmente volare giù dalla scalinata battendo la testa violentemente la testa, e causandogli la perdita dei sensi. I cecchini sollecitati dalla posizione strategica e avvantaggiati dall’effetto sorpresa falciarono rapidamente altri quattro uomini, ne restavano due che nel frattempo si erano rifugiati tra i veicoli in sosta

-all’esterno abbiamo eliminato quasi tutti gli obbiettivi signore, uno dei nostri è a terra, due dei loro si sono nascosti tra le auto, sto mandando due dei miei per stanarli, poi entreranno come supporto mentre io tengo l’ingresso, passo-

-ricevuto terminateli e proseguite abbiamo qualche problema qui-

Avevamo davvero un grosso problema, quei bastardi sputavano pallottole come fossero caramelle per cercare di tenerci a distanza e guadagnare tempo per riorganizzarsi. Uno di loro, quello nell’ufficio del direttore aveva una radio, si sentiva parlare e sicuramente stava chiamando dei rinforzi, ma da come strillava sembrava che la sua radio era fuori uso, o non funzionava molto bene. Dovevamo tentare un colpo azzardato, o se mai quel tizio fosse riuscito nel suo intento entro sera avremmo riposato in una bara per sempre. Se solo il caposquadra fosse riuscito a trattenersi dal  direttore tutto sarebbe già finito. La fortuna non ci aveva sorriso, ma si dice che ella aiuta gli audaci, perciò diedi l’ordine di accerchiamento. I ragazzi non sembravano molto convinti, forse perché non avevano capito la situazione che stava degenerando a nostro sfavore, perciò quando mi videro lanciarmi in quella stanza come il più folle dei kamikaze sparando come un indemoniato, si gettarono anche loro contro l’uomo dietro il bancone che purtroppo crivellò di colpi due dei nostri, ma lasciandoci comunque la pelle. Io e l’uomo nell’ufficio ci eravamo feriti a vicenda così iniziammo una breve ma violenta colluttazione con colpi che solo uomini addestrati al corpo a corpo, e con già esperienza sul campo, potevano portare. Appena il mio nemico ebbe la possibilità di raggiungere la sua arma sfoderai il mio pugnale e lanciandomi disperatamente su di lui per impedirgli di muoversi correttamente per mirare, glielo conficcai nel cuore. Quando uscii dalla stanza vidi le pistole dei miei compagni puntate sull’uscio. In quel trambusto non erano riusciti a vedere chi dei due era sopravvissuto così se fosse toccato a me perire avrebbero aperto il fuoco sul nemico. Quando mi scorsero un breve sorriso apparì sulle loro bocche che subito si spense quando mi indicarono i compagni a terra senza vita. Li trascinammo vicino l’ingresso per portarli con noi

-squadra due com’è la situazione all’esterno?-

Riaprii la comunicazione

-è tutto finito stiamo caricando sul nostro furgone i corpi dei nostri che sono caduti, dobbiamo sparire al più presto tra poco la polizia sarà qui-

-ok squadra due disattivate le telecamere della banca e distruggete i nastri, poi potete partire ci vediamo alla base noi pensiamo ai caduti, chiudo-

Uscimmo con in spalla i corpi dei nostri compagni che caricammo per poi partire a gran velocità. Avevamo sparso molto sangue, l’ultimo per quello che mi riguardava. Appena comunicata la riuscita ad Aprile avrei parlato con Valeria per l’ultima volta per poi tornare a Menton da Axelle. Avevo chiuso con tutto questo. Basta uccidere. Volevo vivere libero e onestamente. Quando fummo di ritorno facemmo un bilancio che mi serviva per il rapporto, ci incontrammo così, dopo essere stato medicato, con il restante della squadra e notando subito l’assenza di Valeria chiesi al responsabile della seconda squadra

-dov’è la ragazza? Non l’avete mica lasciata indietro? Idioti lei non conosce le strade di Napoli…-

I ragazzi si guardavano l’un l’altro con una strana ombra negli occhi. Dopodiché il silenzio fu spezzato dalle parole intermittenti del responsabile chiamato in causa

-signore… la ragazza… signore…-

-avanti parla l’avete persa? Siete dei caproni organizziamo una squadra di ricerca immediatamente…-

-signore… non l’abbiamo persa per strada signore… mi dispiace… è caduta…-

-caduta?-

Il sangue mi si gelò nelle vene. Mi sentii come quando hai bevuto troppo e vengono a mancarti le gambe… ti manca l’aria e ti fai bianco in volto… senti che le forze ti stanno abbandonando e tutto gira intorno a te con la velocità della luce

-come… caduta…-

-signore… al termine degli scontri all’esterno signore… due uomini si erano nascosti tra le auto, e mentre due dei miei scendevano per stanarli uno è venuto allo scoperto ed ha attirato la mia attenzione. Mentre lo abbattevo l’altro si è diretto a gran velocità verso lo sbocco della strada ed ha trovato la ragazza a motore acceso nell’auto pronta a partire… un occasione per lui… ho sentito un colpo di arma da fuoco e… quando mi sono voltato in direzione dello sparo… ho visto la ragazza che rotolava fuori dalla vettura che partiva sgommando… intanto i miei uomini erano scesi in strada che ignari dell’accaduto passavano al setaccio la strada, ma quando li ho avvertiti era troppo tardi… non siamo riusciti a fermarlo… mi dispiace-

Valeria… no… non lei… proprio adesso… è morta e per colpa mia… l’ho uccisa io!