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IL CAMEO, ARTE E TRADIZIONE: SAN DOMENICO IN UN QUADRO DEL XVII SECOLO CONSERVATO A SORA

di Stefano Di Palma

Come anticipato nei precedenti articoli con l’età moderna si afferma un nuovo modo di raffigurare san Domenico Abate. Una delle opere esemplari di questa nuova fase iconografica è la preziosa tela conservata nella Cattedrale di Santa Maria in Sora rappresentante Santa Caterina d’Alessandria con i santi Domenico e Bernardo.

Nel dipinto i tre personaggi sono ubicati in un interno determinato da una centrale arcata che affaccia su un profondo cielo ed un breve paesaggio accennato dalle montagne in lontananza. Al centro si trova la martire Caterina vestita elegantemente e con la corona in testa poiché figlia del re Costo. La santa è raffigurata con lo sguardo rivolto al cielo, sorregge  con la mano sinistra un libro aperto mentre la mano destra appare aperta; sotto i suoi piedi si trovano gli strumenti del suo martirio: la ruota dentata con cui fu torturata e la spada con cui fu decapitata. Due angeli in volo le riconoscono l’estrema testimonianza per cui ha sacrificato la vita porgendole una corona e una palma (simboli del martirio) e un giglio bianco (che allude alla sua verginità).

Caterina è affiancata dai santi Bernardo e Domenico. Il primo santo è raffigurato in abito bianco cistercense, rivolge lo sguardo verso l’osservatore e presenta un volto emaciato culminante nella testa calva; egli sorregge con la mano sinistra un grosso volume mentre con la mano destra impugna un elegante pastorale.

Il secondo santo è ritratto con uno sguardo rapito verso l’alto ed è munito di una folta e corta barba grigia; dello stesso colore sono i capelli sui lati della testa che per il resto è rada. Domenico è vestito da cistercense con una tunica bianca e scapolare nero e trattiene con entrambe le mani un elaborato pastorale.

La solennità dei gesti e delle pose, unite ad un generale senso di equilibrio e armonia, determinano i raffinati esiti compositivi di quest’opera dove i personaggi ritratti emergono sia se osservati singolarmente che in gruppo. Sotto quest’ultimo profilo il quadro esibisce interessanti valori, come si vede ad esempio nella ritmica scandita dai due pastorali che, con la medesima altezza ed accostati al rispettivo abate, ripetono uno schema modulare: esso è reso evidente da quella leggera divergenza che restringe verso l’alto l’estensione delle due insegne abbaziali e che enfatizza a sua volta la centrale apertura in cui si trova santa Caterina d’Alessandria.

Questa pala d’altare si trova nella seconda cappella della navata di sinistra della cattedrale; il vano un tempo era di patronato della famiglia Renzi e poi passò nelle mani della famiglia Boimond.  La prima menzione di un altare dedicato a santa Caterina si ha nel 1592 ma l’opera è collegabile come contemporanea alla fase di ristrutturazione della cattedrale eseguita dal vescovo Giovanelli nel secolo XVII (inerente proprio alla creazione di cappelle lungo i muri delle navate laterali). Odiernamente la cappella è occupata da una mensa marmorea con una mostra architravata in muratura che racchiude il dipinto.

L’autore di quest’olio su tela è sconosciuto. Ovviamente si tratta di un prodotto non riconducibile all’ambito locale ma rapportabile a Scuola Romana attiva nel ‘600 collegata probabilmente alle istanze paleocristiane del pensiero in materia d’arte del cardinale Cesare Baronio (1538-1607) e che segue i modelli iconografici della pittura di Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino (1568-1640), artista prolifico che segnò profondamente l’epoca in cui visse e soprattutto la scena romana con riflessioni, pause ed evoluzioni, denunciate dalle scelte stilistiche delle sue opere inerenti ad un nuovo ideale classico di matrice rigorista. Per rimanere nel territorio circostante un esempio del clima culturale a cui si allaccia il dipinto conservato a Sora è costituito dalla pala d’altare raffigurante i Santi Vito, Modesto e Crescenzia che si trova nella Chiesa di San Vito di Civitavecchia d’Arpino (opera del Cesari).

Le implicazioni iconografiche, stilistiche, estetiche e culturali a cui si collega rendono il quadro conservato nella Cattedrale di Sora una delle opere d’arte di maggior pregio della città troppo spesso ignorato nella totalità della sua importanza.