CRONACA Le pieghe dell'anima: luci ed ombre della mente Notizie

L’AMORE AI TEMPI DELLE NEUROSCIENZE: LA “FAVOLA” DELLE ARVICOLE DI PRATERIE E DI MONTAGNA

di Pamela Rotondi

Non sia mai ch’io ponga impedimenti
all’unione di anime fedeli; Amore non è Amore
se muta quando scopre un mutamento
o tende a svanire quando l’altro s’allontana.
Oh no! Amore è un faro sempre fisso
che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; […]
Amore non muta in poche ore o settimane,
ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio:
se questo è errore e mi sarà provato,
io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.

 William Shakespeare, Sonetto 116

Scrittori, poeti, musicisti, pittori e artisti di ogni genere da secoli provano a catturare il significato dell’amore nelle loro opere. Da un punto di vista neurobiologico, l’amore è un processo biopsicosociale che coinvolge l’uomo nella sua globalità,psicologica e sociale e serve a promuovere la vicinanza tra due individui, allo scopo di favorire la riproduzione della specie.

Le farfalle nelle stomaco, il tremito delle mani, i battiti che aumenta alla solo vicinanza del partner possono essere riassunti in questa definizione sterile e scientifica? Proviamo a vedere come si formano i legami di coppia.

C’erano una volta nelle grandi foreste americane due specie di roditori: le arvicole di prateria che amavano formare coppie stabili e durature e che amavano prodigarsi nell’allevare i propri piccoli. Dall’altra parte del regno, sulle vette alte e verdi c’erano le arvicole di  montagna, dal fare superficiale e libertino. Gli scienziati, incuriositi da questo comportamento così diverso, pur appartenendo alla stessa famiglia, iniziarono a studiare la struttura cerebrale di questi due topolini. Dopo attenti esami di laboratorio, avanzarono l’ipotesi che i cambiamenti neuronali associati con la formazione del legame di coppia nei topolini delle praterie sia scatenato dal rilascio di due ormoni: prolattina e ossitocina. Quindi perché il comportamento di specie simili è tanto differente? Ciò che cambia è la distribuzione spaziale dei neuroni e con essa la modalità di ricezione degli stimoli. Conclusione alquanto semplice per un aspetto tanto complesso.

Sappiamo che il cervello dei mammiferi è già programmato geneticamente per rispondere a determinate combinazioni di ormoni, con l’espressione di quello che si chiama comportamento affiliativo, il nome  che coincide con la definizione comune di “Amore”.

Risulta essere interessante, inoltre, che il meccanismo chimico cerebrale accomuna l’innamoramento con l’acquisizione della dipendenza da stupefacenti e stessa è anche la sede cerebrale di riferimento:  il nucleo accumbens.

Forse innamorarsi vuol dire diventare dipendenti da una persona? La terribile crisi che accompagna la rottura improvvisa di un rapporto sembrerebbe di sì. Nel libro “Eros e cervello”, Cellerino afferma che l’amore non è solo una costruzione culturale introdotta nella società occidentale. In realtà, la vera costruzione culturale è che esso non esista. Esso è un sentimento innato che accompagna l’evoluzione della nostra specie.

Che cosa rappresenta l’Amore? Come è possibile affidarsi ad un altro essere, rendendosi vulnerabili e indifesi? Esso è come un campo di lavanda, esteso e infinito, con un odore che penetra fin nel profondo dell’anima e la corrobora, che permette di viaggiare ed esplorare nuovi mondi, restando sempre nello stesso punto. Ma l’Amore può consumare, devastare, può togliere ogni certezza, ti riempie di dubbi e paure, quindi come si può accoglierlo nel migliore dei modi possibili?

Come aspetto della natura umana, porta con sé luci e ombre, vantaggi e svantaggi, pro e contro, ma se anche le neuroscienze confermano che è un qualcosa di innato e necessario, allora perché non abbandonarsi completamente? “E il naufragar m’è dolce in questo mare”.