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Saluto del Vescovo ‘Gerardo Antonazzo’

Illustrissimo Signor Sindaco, dott. Ernesto Tersigni,

illustrissimi Sindaci dei Comuni della diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo,

carissimi Sindaci dei Comuni di Castrignano del Capo e di Supersano,

stimate Autorità civili e militari,

egregi rappresentanti delle Istituzioni pubbliche,

e delle Associazioni di Volontariato, Culturali, Educative,

grazie per la cordiale e corale accoglienza, grazie per l’affetto e la stima rivolta alla mia persona, chiamata dal S. Padre Benedetto XVI , oggi Vescovo emerito di Roma, quale nuovo pastore di questa antica e nobile Chiesa di Sora-Aquino-Pontecorvo.

Il Sindaco di Sora ha voluto interpretare e dare voce alla cordiale  ospitalità di tutti voi. In questa maniera inizia a spalancarsi davanti ai miei occhi, e molto di più davanti al mio cuore di pastore, anche la realtà sociale, politica, economica e culturale dell’intero e vasto territorio della Diocesi che voi rappresentate.

Questa è la Città nella quale oggi, in modo altamente significativo e coinvolgente, faccio il mio ingresso, per abbracciare non solo Sora, ma tutti i Comuni e le comunità parrocchiali della diocesi. Con questa vostra festosa e gradita accoglienza intendete introdurmi e accogliermi nel cuore di ogni Città e Paese, rendendomi già partecipe delle sorti umane e spirituali dell’intera Comunità, e quindi  delle vostre concrete e quotidiane apprensioni e fatiche, progetti e idealità. Voi siete responsabili della Comunità degli uomini, che il Signore chiama anche me a servire e ad amare, con una dedizione generosa e intelligente, nella chiara consapevolezza che la promozione e lo sviluppo integrale di ogni realtà umana, sono condizioni necessarie per l’edificazione del Regno di Dio.

L’ingresso del nuovo Vescovo in Città significa, pertanto, che l’azione della Chiesa, di natura sì spirituale, ma non disincarnata dalla vita delle persone, deve incrociare le storie concrete di tutti i fratelli e sorelle, per contaminarle felicemente con la verità feconda del vangelo. Dunque, se il Vescovo in prima persona oggi entra simbolicamente in Città, ciò significa che in quanto cristiani non possiamo disinteressarci tranquillamente della cosa pubblica. Ci sta a cuore la sorte umana e spirituale di ogni fedele e di ogni cittadino.

Il Concilio Vaticano II ha voluto riconoscere come necessario il rapporto di collaborazione della Chiesa con la Città degli uomini,  con espressioni che non lasciano scampo a fughe, né evasioni di sorta:  “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto, e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (GS 1).                                                                                            

Io non conosco ancora le difficoltà socio-economiche del nostro territorio, ma non saranno, credo, troppo diverse, da quanto l’intero Paese sta attraversando. La conferma, purtroppo drammatica, è data anche dalla morte di Loffredo a Isola Liri. La domanda resta la stessa per tutti: cosa si può e si deve fare? Nei testi del  Concilio Vaticano II troviamo parole di incoraggiamento per tutti: “… la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia” (GS 1); e ancora: “La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l’opera di coloro che, per servire gli uomini, si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità” (GS 75).

A tutti  propongo, in aggiunta, la provocazione di don Tonino Bello, che faccio prima di tutto mia:  “Coraggio, fratelli miei, dobbiamo uscire di più. Dobbiamo innamorarci di più della Città. Dobbiamo amare di più le istituzioni. Dobbiamo collaborare di più con tutti coloro che nella cosa pubblica si impegnano perché le cose vadano meglio, perché la gente sia più felice, perché dorma tranquilla, perché abbia una casa e un lavoro, perché sia assicurato il futuro dei giovani”.

Espressioni forti, e più che mai attuali, che devono investire tutti i responsabili della cosa pubblica, i pastori della Chiesa, e con loro tutti i credenti, e oserei dire anche i non credenti, animati da buona volontà, e illuminati tutti da retta coscienza e intelligente pensiero, per una solidale presenza sia nel cuore delle speranze, forse poche in questo frangente storico, sia nelle molte ferite degli uomini e delle donne d’oggi, soprattutto dei giovani, che spesso rischiano di diventare i nuovi “poveri”.

Resta deprecabile ogni pretesa di annunciare la fede cristiana, a prescindere dalla condizione reale della vita delle persone. E come sarebbe possibile parlare del Vangelo a persone che non sono pacificate con i bisogni e i diritti elementari e fondamentali della loro vita quotidiana, nella quale risulta sempre più difficile  parlare di lavoro, di pane, di progresso, di dignità, di rispetto e di giustizia?

Ognuno di noi, Chiesa e Società civile, ciascuno nel proprio ambito di azione, è chiamato ad esercitare responsabilità e competenze sempre più qualificate, che restano distinte, ma non divergenti,  autonome ma non contrapposte.

Siamo tutti consapevoli di essere al servizio delle medesime persone. I nostri fedeli sono i vostri cittadini, pertanto unica e convinta deve essere la passione per la Città degli uomini.

Senza dimenticare quanto afferma il Papa Paolo VI: “La politica è una maniera esigente di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri” (OA, 46).

Il mio entrare in Città oggi vuole gridare la verità e l’impegno di una Chiesa che deve scegliere di stare dalla parte dei più deboli, di vivere dentro le fragilità del mondo,  per essere credibile modello di servizio a favore dell’umanità da amare, rinnovare, redimere, salvare.

E allora la nostra speranza di novità diventerà certezza, e potremo dimostrare che dal tronco di questa nostra storia, sfigurata dalle molte ingiustizie, esploderanno gemme rigonfie di vita, che preannunciano la nuova primavera del Regno di Dio.

Grazie.