IL CAMEO, ARTE E TRADIZIONE

SORA – DUE DIPINTI NELLA SACRESTIA DELLA CATTEDRALE

di Stefano Di Palma

A testimonianza del successo riscosso in ambito locale dalla pala d’altare di Francesco Vanni illustrata nel precedente articolo si collegano due pitture di anonimi esecutori conservate nella sacrestia della cattedrale di Sora. La prima è del secolo XVII e raffigura la Madonna con il Bambino ed i Santi Giuseppe e Antonio di Padova; la seconda è del secolo XVIII e raffigura la Madonna con il Bambino ed i Santi Francesco, Restituta, Giovanni evangelista e Antonio di Padova. (Cfr. S. Di Palma, I dipinti della sacrestia, in “Antiquissimum et aureum phanum Sora chiesa cattedrale di Santa Maria Assunta”, Roma 2015).

Per quanto concerne la prima tela un dato sicuro è che essa faceva parte del corredo di pale d’altare che ornava un tempo la chiesa cattedrale. In alto è raffigurata a mezzo busto la Madonna con il Bambino che appaiono tra le nuvole accompagnati da uno stuolo di angeli dei quali una coppia regge una corona; al di sotto dell’apparizione i due santi si stagliano su un nudo terreno: a sinistra Giuseppe volge lo sguardo verso il sacro gruppo mentre sostiene la verga fiorita che lo qualifica come prescelto sposo di Maria, a destra Antonio rivolge il suo sguardo meditabondo verso l’osservatore e sostiene i tipici attributi iconografici che lo connotano: il giglio simbolo di castità ed il libro che allude a due delle tante capacità riconosciutegli in vita, ossia la vasta erudizione e l’abilità di predicatore. Il paesaggio dove si trovano i due santi prosegue alle loro spalle: qui un nucleo abitativo, circostanziato da una doppia fila di monti tondeggianti, è situato in lontananza al centro del quadro e si scorgono la riva di un lago, una torre, una fontana, un personaggio ed infine un campanile.

Allo stesso schema compositivo aderisce il secondo dipinto di cui però non si conosce l’originaria destinazione. Nella parte superiore vi è di nuovo l’apparizione della Madonna con il Bambino (che ripetono i medesimi gesti dell’altra tela) e gli angeli compresi quelli che reggono la corona. Nella parte inferiore invece i santi si moltiplicano. Inginocchiati per terra sono san Francesco e santa Restituta mentre in posizione più defilata si scorgono sant’Antonio e l’evangelista Giovanni raffigurato come da tradizione quale giovane privo di barba e accompagnato dagli attributi che lo identificano come scrittore di storia sacra (un codice, una penna e l’aquila che, secondo l’esegesi tardo-antica, è associata al santo sulla base del suo Inno al Verbo). Anche in questo dipinto il centrale paesaggio è inteso come proseguimento del luogo in cui si trovano i quattro personaggi ed è costituito da due edifici ed una torre.

Appare evidente che le due tele, pur differenziandosi per possibile datazione ed effettive capacità di ciascun artefice che le ha prodotte, mostrano delle forti analogie tra loro. Ciò è ben percepibile nel comune schema che prevede l’apparizione della Madonna con il Bambino con degli angeli e nelle presenze sia dei santi sia di un luogo lontanamente urbano.

Appare inequivocabile che i due pittori, nel segno di una sorta di spirito di emulazione non supportata da degna capacità artistica, si rifanno allo splendido modello dipinto dal Vanni per il cardinale Baronio per la chiesa di Santa Maria degli Angeli di Sora.

I due dipinti custoditi nella sacrestia della cattedrale sono da intendersi infatti come certificazione del successo e del fascino esercitato dalla pittura del senese sulla cultura locale. Ovviamente il paragone tra questi due dipinti e quello del Vanni è inesistente per varie ragioni tra le quali si evidenzia quella di una vera e propria incapacità degli artefici locali che arrivano a produrre anche effetti contrari ai presupposti d’imitazione da cui saranno sicuramente partiti.

A tal riguardo si veda nella tela del secolo XVII l’insistenza del trattamento delle figure per masse volumiche particolarmente pronunciate nel gruppo della Madonna con il Bambino, negli angeli e nel san Giuseppe, nonché l’inespressività dei volti. Nella tela del secolo successivo è invece attuata una soffocante insistenza di citazioni tratte dal Vanni. Anche in questo caso il tentativo dell’esecutore di personalizzare ulteriormente lo schema di base (tramite espedienti quali la moltiplicazione dei santi oppure con l’aggiunta di nuovi particolari, come mostra il grappolo d’uva trattenuto dal Cristo) è male assortito con la resa coloristica basata su una fredda gamma cromatica. In entrambe le pitture anche la redazione del centrale paesaggio si discosta profondamente dalla meticolosa veduta di Sora dipinta da Francesco Vanni.