IL CAMEO, ARTE E TRADIZIONE

SORA, SAN ROCCO PELLEGRINO E TAUMATURGO IN DUE PITTURE DI PIETRO BIANCALE

di Stefano Di Palma

Benché san Rocco sia uno dei santi più venerati nel mondo cattolico si conoscono poche notizie certe sul suo conto. Le fonti che ci tramandano la sua vita sono, infatti, poco esplicite, in particolare sul piano cronologico, e i pochi dati espressi, sono stati resi oscuri per l’aggiunta di episodi leggendari. Rocco nasce nel secolo XIV a Montpellier: questo è l’unico punto sul quale i testi che lo riguardano sono unanimi. La sua nascita sarebbe scaturita da un voto fatto dai suoi genitori, desolati perché senza figli e in tarda età. Rimasto presto orfano, Rocco vende i suoi beni a beneficio dei poveri e parte in pellegrinaggio per Roma;  in quell’occasione egli si ferma ad Acquapendente dove assiste i malati di peste in un ospedale, comincia ad operare guarigioni miracolose e persino a Roma guarisce un cardinale che poi lo presenta al pontefice.

Dopo circa tre anni Rocco intraprende il viaggio di ritorno verso la sua terra d’origine passando per Rimini, Novara e Piacenza, dove a sua volta viene colpito dalla peste e si ritira forzatamente in un rifugio di campagna; in questa circostanza, alla quale si collega la tradizione di un cane che giornalmente gli procurava un tozzo di pane, il santo viene curato dal patrizio Gottardo Pallastrelli ch’egli converte con il suo esempio.

La fine della sua vita è in molti punti oscura. Lasciata Piacenza, Rocco si dirige verso Nord ma viene arrestato ad Angera, presso il Lago Maggiore, poiché sospettato di spionaggio e viene gettato in prigione dove, cinque anni più tardi, muore. Attorno al suo corpo avvengono da subito dei prodigi e dall’esame delle sue spoglie si riconobbe, troppo tardi, che egli era per parte materna, il nipote del governatore del posto che in precedenza, non avendolo riconosciuto, decretò la sua carcerazione. Anche sull’esatta ubicazione delle reliquie del santo esistono diverse tradizioni; quella italiana c’informa che i resti furono trasportati in un secondo tempo a Voghera (dove si conserva una venerata reliquia) per poi essere venduti ai Veneziani che li trasportarono nella loro città (cfr. A. VAUCHEZ, 1968).

Il culto di Rocco conosce estrema diffusione nell’Europa occidentale a partire dalla seconda metà del secolo XV, soprattutto perché invocato come protettore contro la peste; egli appare tra i quattordici santi ausiliatori come intercessore speciale contro questa malattia e in molti luoghi, per questa caratteristica, è associato a san Sebastiano. I pellegrinaggi in onore di san Rocco conoscono grande espansione soprattutto nei periodi di massima diffusione di epidemia e nelle campagne  il santo pellegrino viene anche invocato contro le malattie del bestiame e le catastrofi naturali.

Numerose e di vari artisti sono le raffigurazioni che ci presentano le sembianze del taumaturgo. In arte Rocco è stato spesso raffigurato accanto a san Sebastiano nell’atto di guarire un gruppo di appestati. Solitamente è ritratto come giovane, pellegrino, con barba e cappello. Altri attributi frequenti sono il bastone, la borsa, la borraccia, il cane, la conchiglia e in molte raffigurazioni Rocco indica un bubbone che la peste gli ha provocato sulla gamba (cfr. SCHAUBER-SCHINDLER, 1997).

A Sora la vicenda umana del santo è condensata in due pitture ubicate nella chiesa a lui intitolata.  Nella parete dell’abside, oltre ad essere conservata la veneratissima statua di culto protagonista delle celebrazioni e della processione del 16 agosto, si trovano due affreschi di fine XIX secolo dipinti dall’artista sorano Pietro Biancale (1830-1904).

Entrambe le scene sono inserite in cornici monocrome dipinte che simulano dei veri e propri quadri. A sinistra è raffigurato San Rocco morente in carcere, a destra San Rocco intercede per gli appestati (cfr. G. SQUILLA, 1972; A. CALDARONI- M. RIZZELLO, 1991).

Nella prima pittura domina una visione che avviene nell’angusta prigione codificata dal pittore da pochi elementi (una porta chiusa, una finestra sbarrata, un muretto); uno squarcio di cielo, imbevuto di luce divina, irrompe nel carcere. Tale spazio è abitato da esseri celesti dei quali uno reca una corona: si tratta della promessa di gloria eterna che al meritevole Rocco è garantita da un angelo consolatore che lo affianca. Di particolare interesse risulta la restituzione del santo, presentato seduto, stanco e rassegnato che volge la testa verso l’angelo mentre con una mano stringe il crocifisso e l’altra si abbandona a questa estasi che prefigura la fine della sua vita. Per terra sono presenti alcuni degli attributi iconografici specifici del santo, ossia il fedele e amico cane, il bastone ed il cappello mentre sulla destra due angeli sostengono un’iscrizione che recita: Eris in peste Patronus, ovvero “Sarai patrono nella peste” poiché una simile dicitura scritta su un foglio, secondo la tradizione, fu rinvenuta nella prigione alla morte di Rocco.

Nella seconda pittura una drammatica ma speranzosa visione è offerta allo spettatore. Ormai sembra tutto perduto visto che ovunque, in un paesaggio, sono cadaveri di uomini e donne colpiti dalla peste. Al centro della scena Rocco, innanzi ad un edificio classico e accompagnato da una schiera di dolenti e devoti, intercede per  contrastare questa epidemia. L’Eterno, simboleggiato dall’occhio, rischiara il cielo con i suoi raggi di Grazia e l’angelo della morte obbedisce mettendo da parte la spada. Anche se con evidenti limiti, il pittore esprime al massimo la concitazione insita in questo racconto mediante l’uso di linee compositive sia spezzate che avvolgenti. Ardito e teneramente tragico è il gruppo scorciato in primo piano con la madre e il figlio riversi sul suolo poiché abbattuti dalla peste; movimentata su un gioco di diagonali e contrapposti è invece la figura di san Rocco ancorata alla terra in cui soffrono gli uomini e al contempo protesa verso l’alto in qualità di potente intercessore.