IL CAMEO, ARTE E TRADIZIONE

USANZE E PATRONATI LEGATI A SAN DOMENICO ABATE – LA PROTEZIONE CONTRO FEBBRE E TEMPESTE

di Stefano Di Palma

Il più antico patronato che si associa a san Domenico e per cui si ricorre alla sua protezione è sia quello contro la febbre sia quello contro le tempeste che si consolidano in area umbra e soprattutto laziale.

Il patronato antifebbrile di san Domenico conosce particolare successo in ambito ciociaro specialmente a Sora e deriva dalle narrazioni più antiche delle “Vite” inserendosi in una precisa tradizione agiografica medievale che attribuisce ad alcuni santi tale funzione liberatoria. Nella “Vita di Giovanni” si parla di due miracoli operati dall’Abate verso un fanciullo ed un presbitero che bevendo l’acqua con cui egli aveva fatto l’abluzione delle mani trovano guarigione dall’altissima febbre da cui erano afflitti. Nella raccolta dei “Miracoli” il tema della febbre si connota addirittura di valenze punitive dato che si narra di un prete che dopo aver insultato il Santo, subì forti attacchi di febbre e con l’intercessione del medesimo riuscì guarito nel corpo e nello spirito.

A san Domenico ricorrono le genti in occasioni di grandine e tempeste: in simili circostanze in passato si era soliti suonare le campane del monastero di Sora per scongiurare disastri sui raccolti e bestiame; a questo patronato si collega l’usanza, attestata nel secolo XVII,  in cui il Comune di Foligno elargiva una elemosina annuale a favore del cenobio cistercense di Sora per ottenere favori celesti sul clima del proprio territorio.

Dal secolo XVII, parallelamente alla crescita della rielaborazione della figura del benedettino nelle fonti scritte, si assiste all’evoluzione dei patronati. Una simile spinta (tutta di stampo abruzzese) contribuisce alla costruzione del “mito” di Domenico com’è poi in sostanza sensibilmente percepito dalle folle.

In quest’area s’instaurano dei patronati in cui si accentua la categoria terapeutico – sacrale per cui si ricorre all’intercessione del Santo in caso di odontalgie e per i morsi provocati dai serpenti e dai cani. Il controllo che san Domenico esercita sui serpenti è già affermato in una delle prime biografie dove si narra che due disonesti monaci cassinesi, mandati dal loro priore a Trisulti, dove risiedeva l’Abate, nascosero quattro dei pesci che erano stati incaricati di portargli in dono. Il Santo nel congedarli li avvertì di non toccare i pesci che avevano nascosto e li fece accompagnare da due suoi monaci ai quali consegnò un bastone: giunti sul posto trovarono nel nascondiglio dei serpenti che toccati con il bastone tornarono ad essere pesci; i due monaci subito li portarono a san Domenico pentiti per la loro cattiva azione.

L’associazione di Domenico ai serpenti è dunque antica ma le origini, i precisi agganci e le evoluzioni del processo che associa a Cocullo, e in Abruzzo in generale, il benedettino al serpente non trova concordanza tra gli studiosi. Tale processo è sicuramente da inserire in un complesso culturale-tradizionale molto più ricco, nel quale si è ravvisato un retaggio che include la credenza locale nella dea Angizia ed i temi della tradizione dei Marsi (compresi i riti dei serpari), che profondamente modificati nel Medioevo si associano al culto di Domenico probabilmente dal secolo XIV ma certamente dal secolo XVII.

La persona che è morsicata da serpe velenosa viene portata nella chiesa di Cocullo dove si conserva la reliquia del sacro dente. L’origine di questa reliquia trova un suo preciso mito di fondazione nell’episodio riportato dal Febonio nelle “Historiae Marsorum” dove si narra che gli abitanti di quel paese pregarono con insistenza il Santo di lasciare un suo ricordo da usare contro le molestie degli animali velenosi ed egli, portandosi la mano alla bocca, ne estrasse un dente molare e lo donò a loro aggiungendovi un ferro della sua mula (quest’ultimo si collega anche all’episodio della mula di nome Giulia con cui Domenico si muoveva). Con il dente si segnano dunque in caso di bisogno gli uomini, con il ferro si segnano gli animali domestici.

Alla funzione protettiva di san Domenico per i casi di odontalgie si collega anche l’uso (che si verifica anche nei nostri tempi) di suonare la campanella presente nella chiesa di Cocullo tirando la fune che la sostiene con i denti. A meccanismi associativi appartiene anche il patronato contro il morso dei cani che si aggancia all’episodio riportato ancora dal Febonio in cui si narra che Domenico salva la vita di un bambino sottratto alla madre da un feroce lupo. La narrazione si collega all’uso, menzionato nel secolo XVIII, di liberare gli animali dalla rabbia canina oppure prevenire il contagio mediante un tatuaggio o “merca” che viene loro impresso con il ferro della mula infuocato; un’esemplare di ferro qui rappresentato nella foto è conservato nella Chiesa di San Silvestro Papa in Sora.

In tal modo la figura di Domenico ne esce arricchita da molteplici funzioni nella cultura popolare e viene a collocarsi, sotto il profilo agiografico, nella categoria dei patroni- liberatori il cui culto riflette situazioni storico-ambientali di crisi e di esposizione alla malattia e alla morte; il santo benedettino diviene così garante della salute degli individui, domatore della natura e difensore del gruppo ed il modo di rappresentarlo risente di simili implicazioni.

Speciale menzione merita l’unica mitizzazione autonoma che si registra nel Lazio tramandata dalla tradizione orale. Nel segno di una non compresa sequenza diacronica dei fatti e dei personaggi, spia di un basso retaggio culturale su cui si innesta una simile tradizione, san Domenico è contemplato come fratello della Madonna da cui si sarebbe separato in un viaggio comune e che avrebbe lasciata nel luogo detto “Canneto” dove sorge il conosciuto santuario. Il vincolo parentale, costruito dalla memoria popolare, tra la Madonna di Canneto e san Domenico riviveva nell’uso della Compagnia che ha compiuto il pellegrinaggio a Cocullo visitando, nel giorno della festa, il santuario della Vergine di Settefrati; in caso contrario Ella non avrebbe concesso alcuna grazia ai pellegrini lì convenuti. Una delle probabili associazioni su cui si stabilisce la tradizione è data dal fatto  che la festa della Madonna di Canneto e quella di san Domenico coincidono nelle medesime date del mese di agosto.