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INTERVISTA ESCLUSIVA A DANIELA ALONZI, RESPONSABILE DELLA CASA DI PRIMA ACCOGLIENZA ‘AENEAS’

Si fa un gran parlare, in questi giorni, di quanto sia necessaria ed urgente l’attivazione di un’accoglienza diffusa (gruppi distribuiti su tutte le province del territorio nazionale in maniera quanto più proporzionata possibile) a favore dei tanti migranti che arrivano nel nostro Paese. Questa situazione, complici alcune informazioni distorte, esagerate e comunque spesso approssimative, rischia di generare un clima di velata ostilità contro tali iniziative. Soraweb ha saputo della casa di prima accoglienza che la Caritas Diocesana Sora – Aquino – Pontecorvo, diretta da Don Toma Akuino Teofilo, ha allestito nel territorio della nostra diocesi, nel comune di Isola del Liri. Per questo motivo, Soraweb ha voluto intervistare Daniela Alonzi, coordinatrice di casa ‘Aeneas’ (il nome è stato scelto facendo riferimento ad Enea come emblema del migrante forzato per eccellenza e in lingua latina come omaggio alla lingua storica della Chiesa), per avere informazioni dirette e certamente veritiere sulla gestione di una struttura di questo tipo. Daniela Alonzi ha molta esperienza nel settore dell’immigrazione, avendo lavorato per molti anni a Roma per il Dipartimento per le libertà civili e per l’immigrazione del Ministero dell’Interno.

Cominciamo subito dal cuore della vicenda. Cosa si sente di dire in merito alla vostra attività nel centro ‘Aeneas’?

Innanzitutto, credo sia importante spiegare come è nata l’idea di inaugurare una casa di prima accoglienza nel nostro territorio.  La nostra attività prende le mosse da una circolare ministeriale, nella quale veniva evidenziata la necessità di mettere a disposizione dei punti di prima accoglienza per migranti. Noi abbiamo risposto positivamente a questa richiesta di aiuto, comunicando la nostra immediata disponibilità alla Prefettura di Frosinone. Poiché forse non tutti lo sanno, aggiungo che gli ospiti della nostra struttura sono migranti forzati e non economici.

Qual è la differenza tra queste due tipologie di migranti?

Una differenza decisiva: il migrante forzato è colui che fa richiesta di protezione internazionale per ottenere lo status di rifugiato. Il migrante economico, invece, è spinto, come dice la parola stessa, da motivi puramente economici. In parole povere, il migrante forzato è costretto a lasciare la sua patria perché perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, mentre l’altro se ne va per sua scelta. Specifico anche che, in molti casi, stiamo parlando di persone istruite, con una posizione affermata che hanno dovuto abbandonare. Una volta compresa questa differenza, è facile capire come la nostra attività abbia una notevolissima valenza. Tante volte, mi pare, siamo portati a dimenticare la nostra storia nazionale: anche moltissimi italiani, in epoca fascista, erano costretti a fare fagotto e cercare ospitalità altrove!

Qualche settimana fa si è sentito parlare di ‘fughe’ dalla vostra struttura…

Il termine giusto è allontanamenti volontari, il centro ‘Aeneas’ non è una prigione e tantomeno un CIE (Centro di Identificazione ed Espulsione). Noi non tratteniamo nessuno con la forza, anche perché nessuno ce lo ha chiesto. Chi va via prima del previsto sceglie volontariamente di allontanarsi. È il caso di alcuni ospiti eritrei che abbiamo avuto: ci hanno detto sin da subito che il loro obiettivo non era l’Italia, ma il nord Europa (questo è accaduto in quasi tutti i centri di accoglienza italiani). Pur ringraziandoci, dunque, hanno deciso di andare via prima di essere identificati e di attraversare il nostro paese verso altri stati, non certo per delinquere, come magari avranno pensato in molti.

Come si sviluppa, in concreto, la vostra opera?

Una volta arrivati, agli ospiti viene fornito tutto l’occorrente per garantire vitto e alloggio: biancheria e abiti puliti, prodotti per l’igiene personale, letti comodi e così via. Abbiamo anche due preziosi mediatori culturali, Moustapha e Ernest (arrivati anche loro anni addietro su un barcone) che ci aiutano quotidianamente ad entrare in contatto con la cultura di chi ci è di fronte. Durante la primissima fase di accoglienza si provvede ad effettuare un accurato screening sanitario, per assicurarci che tutti gli ospiti godano di buona salute e a predisporre, in collaborazione con la Polizia, i documenti per l’identificazione e per la richiesta di protezione internazionale. Una volta terminata la parte burocratica si passa alla fase dell’integrazione: orientamento al territorio, scuola di lingua italiana, sport, formazione, preparazione alla commissione, ecc.

Che reazione stanno avendo i cittadini?

Devo dire che, soprattutto da coloro che abitano nei pressi della struttura, ci arriva una grande mano. Sostengono l’attività anche concretamente con vestiti, giochi per i bimbi e tanto altro. Tanti insegnanti, in pensione e non, si sono proposti come volontari per l’alfabetizzazione dei nostri ospiti! Ci dispiace per quelli che, raggiunti da informazioni sbagliate, non sono in grado di comprendere l’importanza e il grande valore del servizio che svolgiamo.

In questo momento quante persone ospitate?

In questo momento abbiamo 29 ospiti, per lo più provenienti dal Mali. Sono dei ragazzi educatissimi e rispettosi, tutti impazienti di imparare la nostra lingua, di formarsi e di cominciare a lavorare!

Speriamo di aver chiarito a tanti qual è la mission della vostra struttura!

Lo speriamo davvero: noi continueremo a svolgere il nostro ruolo con grande impegno, nell’interesse di coloro che chiedono protezione al nostro paese. Speriamo di cuore di poter contare su un supporto sempre maggiore da parte della comunità locale!

Sandra Raggi