Storia

IL GRANDE SACCHEGGIO

di Michele Santulli

Il colpo micidiale al depauperamento in tutta Italia avvenne con la presenza di Napoleone sulla scena europea, che saccheggiò la crema dell’arte italiana. Giganteschi i danni arrecati e i furti nell’Italia dell’epoca, divisa in stati e staterelli!  Le cronache parlano di 506 quadri di grandi maestri trafugati e restituiti in 249!! Senza contare gli oggetti e l’oreficeria e i dipinti e le sculture saccheggiati a Firenze, a Venezia… questi, parrebbe, mai reclamati: la Spagna, la Prussia, e gli altri stati derubati andarono a Parigi addirittura con gli eserciti a riprendersi le opere d’arte, gli Stati Italiani zero! Perdite inaudite.

Quanto è avvenuto nel corso del 1800, particolarmente a Roma, con riferimento ai furti e alle esportazioni in massima parte clandestine in tutto il mondo, è inimmaginabile: uno sguardo attento ai soli maggiori musei e gallerie del pianeta illumina su una situazione tragica che, atroce e imperdonabile, non si conosce e nulla viene fatto per far conoscere, anche oggi, ad ammonimento e avvertimento; è certo che se questi grandi musei venissero privati delle presenze italiane di cui stiamo parlando, potrebbero chiudere o altrimenti vivere una vita stentata! Di entità ancora più impressionante è quanto non si conosce disperso tra gli altri musei, tra i privati collezionisti o chiuso nei depositi dei musei o altrove!

Nel corso del 1800 si iniziarono a scoprire le necropoli di Cerveteri, Vulci, Tarquinia, il favoloso mondo etrusco, senza menzionare quanto veniva fuori da Pompei, Ercolano ecc., quanto dalla Puglia e dalla Sicilia.

Dapprima da parte dei contadini nel corso dei loro lavori e poi da autentici ladri e delinquenti, i cosiddetti tombaroli, si iniziò sistematicamente il disseppellimento e la spoliazione forsennata delle antiche tombe: una operazione indisturbata e fuori di ogni controllo e vigilanza che dura, ampliata e perfezionata ormai in tutta Italia, anche oggi, quasi normalmente: milioni di oggetti di ogni tipo che si possono immaginare sotto terra e nel mare, ma anche nelle chiese, ecc. veicolati, allora ed oggi, furtivamente in ogni angolo del pianeta, nel commercio privato e in quello istituzionale: la quantità precisa derubata e il valore colossale non si conosceranno mai! Ma se commercializzata secondo le regole, almeno la quantità conosciuta di opere d’arte nei musei, di sicuro avrebbe azzerato il debito pubblico e dato anche un extra!!! Non di rado sono oggetti ed opere del massimo valore e significato, avidamente ricercati ed appetiti, che lo Stato Italiano, oggi, quando ormai le vacche sono scappate, talvolta inizia le trafile di indagine prima e giudiziarie internazionali dopo, per rientrarne, dopo anni e anni, qualche volta, in possesso di qualcuna.

Le antiche famiglie romane non hanno mancato di essere attive nell’accaparramento, famosa per esempio la collezione Torlonia. Opere eccelse, solo capolavori, furono recuperate dal Vaticano; una delle tombe etrusche integre e tra le più sfarzose e ricche per la quantità, ma non solo, di oreficeria fu immediatamente e per fortuna, incamerata dal Papato, tanto che Gregorio XVI, l’anno dopo, 1837, fondò il Museo Gregoriano Etrusco, uno dei primi musei al mondo: quanto è qui visibile di archeologia antica nelle 22 sale espositive è semplicemente sbalorditivo: solo opere di qualità eccelsa, di gran lunga sovrastante senza dubbio alcuno,  quanto nei pubblici musei italiani, per qualità e quantità.

La Chiesa cercò di mettere un freno e un controllo alla enorme spoliazione e il card. Pacca è celebre per il suo editto del 1817, che doveva disciplinare la smisurata e diffusa attività di contrabbando. In effetti a Roma si era consolidata una rete illegale totalmente all’insegna dell’interesse privato: si registrano nomi di collezionisti  e di antiquari passati letteralmente alla storia per la quantità e pregio di incettazioni sulla piazza non solo di Roma: reperti affiorati indescrivibili  per qualità e valore. Archeologi noti gestivano il commercio internazionale degli oggetti: Wolfgang Helbig, che fornì circa mille pezzi alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen e grandi quantità ai musei archeologici di Berlino e di Monaco, di Londra, dell’America in società con Francesco Marinetti, altro noto mercante ed esperto archeologo; il grande Ludwig Pollak che trattava con le case reali europee e i grandi musei, conosciuto il rapporto avuto con il collezionista russo Gregorio S.Stroganoff, che aveva accumulato una gigantesca raccolta di opere d’arte antica di ogni genere, andata dispersa in tutto il mondo. E poi due personaggi veramente fuori del comune sia per la colossale attività svolta e sia anche per certi rapporti personali e cioè John Marshall e Perry Warren, il primo inglese e l’altro americano, nati nello stesso anno 1860 e morti nel medesimo anno 1928 a distanza di pochi giorni, omosessuali fedeli tutta la vita, quasi tutta la esistenza trascorsa a Roma, hanno intrattenuto assieme, in particolare il primo col Museo di Boston e l’altro col Metropolitan di New York un rapporto che ha reso questi due musei i più ricchi e i più forniti di archeologia etrusca e greco-romana: quantità incredibili, qualità eccezionali e valori impensabili. Grazie a Perry Warren il Museo di Boston ha messo  assieme anche la collezione di vasi ed oggetti antichi di soggetto erotico, unica, la più ricca al mondo! In merito una nota amena: trenta-quaranta anni più tardi, verso il 1925, questo stesso Museo quasi cacciò il direttore perché aveva acquistato la famosa ‘Carmelina’ di Matisse, un nudo di donna che i responsabili del Museo dell’epoca relegarono nel deposito perché ritenuta contraria alla moralità protestante: oggi il quadro è forse il più noto del Museo! Nella rete, altri dettagli sulle attività dei due personaggi. Qui ancora solo una particolarità  attinente al nostro tema del saccheggio di opere d’arte: i due rinvennero a Roma una coppa d’argento romana del primo secolo, rarissima, che illustra magnificamente scolpite, due scene erotiche omosessuali, la famosa Coppa Warren che tennero sempre con loro nella loro abitazione in Inghilterra dove si erano ritirati. Dopo la loro morte, gli eredi ebbero difficoltà a venderla a causa delle due raffigurazioni troppo spinte: alla fine l’eccezionale oggetto fu acquistato dal British Museum  per un milione e ottocentomila sterline e qui visibile.

Altro cultore e appassionato fu Luciano Bonaparte, fratello di Napoleone, nominato dal papato principe di Canino, nel viterbese, il quale a Vulci disseppellì centinaia, forse un migliaio di vasi etruschi e greci, e non solo che, alla fine, dopo averli schedati e disegnati e anche pubblicati,  per ragioni economiche disperse in Europa e in America tra musei e collezionisti: patrimonio artistico e finanziario difficilmente quantificabile nel suo immenso valore e rarità: in particolare fanno parte di questi reperimenti di Luciano Bonaparte e di sua moglie due preziosi sbalorditivi sarcofagi in grandezza naturale in terracotta con due coppie distese, dei quali è arduo rinvenire gli uguali venduti, per diverse mani, al Museo di Boston e qui visibili.

Altro massimo collezionista romano fu Gianpietro Campana (1809-1880) che mise assieme una collezione smisurata di oggetti di scavo, di numismatica e gemme e cammei e ori e argenteria e una ricca quantità di maioliche: tutto finì nei musei dell’Ermitage di San Pietroburgo, al Victoria and Albert Museum di Londra, al Metropolitan di New York e molto altro al Louvre di Parigi, dove intere gallerie sono dedicate alla collezione Campana, specie maioliche antiche, oreficeria, sculture, reperti etruschi. Particolarmente significativo sia per il successo riportato, sia per le ricchezze accumulate e sia per la tradizione artigianale impostata grazie ai figli e ai nipoti, fu Fortunato Pietro Castellani  (1794-1865) che creò una attività di altissimo pregio nella produzione di oreficeria antica specie di oro e pietre preziose nel rispetto completo delle antiche lavorazioni, naturalmente di pari passo acquistò enormità di oggetti di epoca.

Grave perdita furono i circa cinquecento oggetti tra i quali preziosi bronzetti etruschi accumulati dal collezionista Ridolfini Corazzi a Cortona e poi venduti dagli eredi nel 1819 al Re di Olanda per dodici mila scudi e oggi al Museo di arte antica di Leida, come pure lo straordinario vaso (lebéte) in bronzo alto ca. 68 cm scavato a S.Maria Capua Vetere nel 1847 e poi approdato al British Museum, assieme ad altre preziosità.

Perdita sconvolgente fu la vendita delle opere della Collezione Camillo Borghese a Napoleone, oggi al Louvre, tra cui l’incredibile Vaso Borghese, l’Ermafrodito sul materasso di Gian Lorenzo Bernini, il busto meraviglioso di Antinoo, la statua del Gladiatore e di altri settecento pezzi circa. Opere pittoriche inaudite anche della collezione Borghese lasciarono l’Italia alla chetichella negli anni successivi: di Caravaggio, di Raffaello, di altri grandissimi maestri.  Un patrimonio artistico supremo.

Sempre a Roma, miniera inesauribile, altri famosi collezionisti e compratori a favore dei propri paesi furono il diplomatico prussiano Wilhelm Dorow e il Conte polacco Michele Tyskievicz compratore di tutto, specie di glittica cioè medaglie e gemme e cammei. Ardua a inventariare la quantità spacciata ovunque nel mondo  direttamente dai tombaroli e scavatori clandestini di tombe etrusche, come pure la quantità dissepolta dagli archeologi stranieri specie nella Puglia  e oggi visibile nei musei delle loro città.

Alla fine del secolo, 1800, il mondo dell’arte internazionale fu letteralmente scosso da una apparizione sul mercato semplicemente fantastica. Alle pendici del Vesuvio, in una zona agricola, anche essa totalmente sepolta dalla lava, nei secoli successivi divenuto un bosco verdeggiante, dove il re Borbone andava a caccia,  qualcuno iniziò a scavare: e fu portato alla luce il cosiddetto tesoro di Boscoreale! Non si saprà mai quale ne fosse la consistenza, sappiamo solo che al Museo del Louvre sono presenti 109 pezzi di argenteria scolpita e cesellata, tutto un servizio da pranzo, di epoca romana, di qualità impareggiabile, mai vista fino allora in tale quantità e qualità; in aggiunta anche mille rarissime monete d’oro fior di conio del primo secolo. Il mondo antiquariale europeo ne fu letteralmente traumatizzato. Si sa che il banchiere parigino Rothschild ne acquistò una parte per la cifra all’epoca favolosa di cinquecentomila franchi. L’Italietta di quegli anni, che aveva rifiutato di acquistare il tesoro,  portò in giudizio il proprietario a esportazione clandestina avvenuta: tutto finì in una bolla; non solo, subito dopo il fortunato frodatore nazionale si presentò come deputato e fu perfino eletto alla Camera!