IL RACCONTO DELLA DOMENICA

MALEDETTA DOMENICA – TERZA E ULTIMA PUNTATA

di Anna Maria Scampone

I carabinieri perlustrarono tutta la zona, ma della vicina non si trovò nessuna traccia. Sembrava essere svanita.

«Abbiamo diffuso la foto della signora alle nostre pattuglie. Non possiamo fare altro per il momento.»

«E i bambini?»

«Abbiamo chiamato la nonna. Sta venendo a prenderli.»

«Nel frattempo, li terrò nel mio appartamento.»

«Va bene. Ha sentito dei rumori, confusione o grida provenire dalla casa vicina?»

«Ho sentito solo i bambini strillare più del solito.»

«I bambini sono stati lasciati soli anche in altre occasioni?»

«Non lo so. Non ho confidenza con la signora.»

Siamo talmente presi dalla nostra esistenza, dai tanti impegni e dai problemi che finiamo per ignorare tutto ciò che ci circonda, constatò Elisa. In fondo, cosa sapeva della sua vicina? Nulla. A malapena, la ricordava.

La nonna arrivò qualche minuto dopo. La donna era in uno stato di agitazione tale che Elisa la fece sedere in salotto. Davide si precipitò nelle sue braccia. Lei lo trasse a sé, gli occhi lucidi per l’emozione.

«Chantal dorme» disse il bambino.

«Lasciamola dormire, povera piccola. Vai a giocare di là e poi andiamo a casa.»

«Sì, ma mamma poi viene?»

«Certo tesoro. La tua mamma ci raggiungerà là.»

Elisa porse una tazza di tè alla donna. Questa la prese con mano tremante. Sorrise come per scusarsi, un sorriso tirato che non giunse fino agli occhi, poi scoppiò in lacrime. La ragazza guardò la vecchia signora scossa dai singhiozzi, incapace di porre freno a quel fiume in piena. Lasciò che si sfogasse e poi le porse un fazzoletto.

«Mi scusi, ma sono molto preoccupata. Mia figlia si è appena separata dal compagno. Da quel giorno, riceve minacce e insulti. L’ho pregata di denunciarlo, ma lei non ha voluto sentire ragione.»

«Capisco.»

Invece no, non capisco come si possa fare del male alla persona che si ama. Ne aveva sentite di storie simili, ma sembravano cose lontane, accadute ad altre persone, in luoghi lontani. Quando, invece, capita alla dirimpettaia, scopri quanto siamo tutti esposti e vulnerabili.

Il trillo del cellulare ruppe il silenzio. La donna frugò nella borsa, alla ricerca del telefonino. Infine, rispose. Elisa la vide impallidire, poi irrigidirsi.

«Arrivo subito.»

Si dice che i guai non arrivano mai da soli. Cosa diavolo può essere successo ancora?

«Corro in ospedale. Anna si trova al Pronto Soccorso. Ci può pensare lei ai bambini?»

«Ma certo, vada e mi faccia sapere.»

Le ore che seguirono furono terribilmente lunghe. Davide e Chantal non furono proprio degli angioletti. Straniti dalla situazione insolita, affidati a un’estranea incapace di accudirli, avevano cominciato a piagnucolare e a fare i capricci. Finalmente, la nonna chiamò. Le notizie non erano buone.

«Resto in ospedale stanotte. Mia figlia è in prognosi riservata. Si presume sia stata picchiata dal suo compagno. Aspettano che sia fuori pericolo per chiederle la sua versione dei fatti.»

«Speriamo si rimetta presto. Devo avvisare qualcuno per i bambini?»

«Ecco, vede, io e mia figlia ci siamo trasferite qui per sfuggire alle persecuzioni del compagno. Non abbiamo parenti a cui affidare i bambini. Se potesse tenerli lei per stanotte.»

«Ma io non sono in grado. Non so nulla di bambini. Io… »

«Lei è sicuramente all’altezza. D’altra parte, non saprei a chi altri affidarli. La prego.»

Fu così che Elisa si trovò ad affrontare la prospettiva di una notte con due bambini. In realtà, se la cavò abbastanza bene. Telefonò a destra e a manca, chiedendo alle amiche consigli su come gestire la situazione. Quando riuscì a metterli a letto, tirò un sospiro di sollievo. Non avrei retto un minuto di più, pensò, sono esausta.

Preparò la solita tisana, gli occhi che non volevano saperne di restare aperti. Si addormentò sul divano, troppo stanca per raggiungere il letto. Fu svegliata dal campanello della porta, la mattina dopo. La notte era stata tranquilla. Ricordava solo di essersi trascinata fino alla cucina per preparare il biberon alla piccolina, quando aveva cominciato a frignare, poi il buio assoluto.

La nonna, invece, portava sul viso la fatica di una notte insonne.

«Anna è fuori pericolo. Ha confermato di essere stata aggredita dal suo ex compagno. L’altra mattina, lui, disubbidendo al provvedimento di restrizione emesso dal giudice, l’ha attirata, con un inganno, in una trappola. Quando lei se ne è accorta, ha tentato d’andarsene, ma lui l’ha aggredita a calci e pugni. Se vedesse come l’ha ridotta. Spero lo mettano in galera e buttino la chiave.»

«Cosa farà ora?»

«Anna si trasferisce da me. Bado ai suoi bambini e a lei. La ringrazio tanto per la disponibilità.»

Quando se ne andarono, Elisa ebbe una stretta al cuore. L’appartamento sembra vuoto senza le voci, le risate e il pianto di quei due mocciosi. Mi mancheranno, accidenti.

Preparò il caffè e accese la radio. La musica inondò la stanza. Ho bisogno di una superdoccia, pensò, me la sono proprio meritata. Si infilò sotto il getto caldo e fu allora che, ripercorrendo mentalmente la propria domenica, ebbe un crollo emotivo. Pianse. Pianse per quei poveri bambini contesi, pianse per Anna, la sua vicina, pianse per la solitudine di una vita senza affetti. La sua.