IL CAMEO, ARTE E TRADIZIONE

SORA – IL CROCIFISSO DELLA DISCORDIA

di Stefano Di Palma

La triste vicenda risale al 2008 ma, a distanza di anni, appare utile riconsiderarla con qualche riflessione, visto che ultimamente è stata riproposta anche in una pagina dedicata all’arte su Facebook, uscendo così dai confini territoriali di appartenenza (cfr. Mo(n)stre un prete pasticcione del 5 dicembre 2015).

Protagonista del deturpante intervento è stato il cosiddetto “Crocifisso del Baronio” conservato nella chiesa di San Bartolomeo, a Sora. Si tratta di una delle opere di maggior rilievo della locale diocesi: un crocifisso ligneo, realizzato a Roma e donato nel 1564 dal cardinale sorano Cesare Baronio alla locale Confraternità della Carità e riconosciuto quale prodotto di autore allievo di Michelangelo. A tal riguardo, si ricorda che è stato menzionato il nome di Tiberio Calcagni, ma la questione e lo stato degli studi rimangono ancora aperti.

In questa sede, ci interessa segnalare invece una serie di fatti purtroppo certi. Nel maggio del 2008, l’opera, che versava in uno stato di conservazione tutto sommato soddisfacente e comunque monitorato dalla Soprintendenza del Lazio, è stata sottoposta, su iniziativa personale del locale parroco e senza che venisse richiesta l’autorizzazione necessaria ai sensi della legge di tutela dei beni culturali (in violazione degli artt. 20 e 21 del Codice dei Beni Culturali, D. Lgs 42/2004), a un intervento che ha fortemente compromesso la conservazione e la leggibilità.

Con ragione, Paolo Castellani definisce un simile intervento, visti gli effetti, come uno scempio. L’autore ci riassume il danno comunicandoci che la superficie della scultura risultava essere stata pulita con sverniciatori estremamente aggressivi e trattata con strumenti abrasivi grossolani. Il crocifisso era stato poi ricoperto per intero di un consolidante non idoneo, normalmente utilizzato per i mobili, che aveva creato uno strato notevolmente spesso e scuro, che, per fortuna, non è penetrato a fondo nel legno. A conclusione del terribile intervento, appariva essere stata utilizzata una cera in pasta, stesa copiosamente su tutta la superficie, che conferì alla scultura una sconcertante apparenza scura, che ne alterava completamente la leggibilità delle forme. Infine, il perizoma annodato ai fianchi della scultura era stato rimontato al contrario, ovvero con il nodo sul fianco sinistro anziché sul destro e con il retro posto su davanti. (Cfr. P. Castellani, Et è da far piangere chi attentamente il considera: lo scempio e il restauro del Crocefisso del Baronio (1563) in San Bartolomeo in Sora, in “Nel Lazio Guida al patrimonio storico artistico ed etnoantropologico”, I, 2010, pp. 77-88).

Successivamente, è stato imposto ed eseguito il ripristino dell’opera, realizzato tramite un intervento di restauro progettato e diretto dalla Soprintendenza per i Beni Storico Artistici del Lazio, con oneri a carico del parroco. Il recupero è stato poi reso noto (cfr. Il Cristo del Baronio recuperato dal restauro deturpante sul sito www.beniculturali.it articolo del 7 ottobre 2009; il portale del restauro – blogspot 2009), e l’opera è stata restituita alla primitiva sede.

Riassunti i fatti e a distanza di tempo, qualche riflessione sull’accaduto trova ragioni profonde in un senso di appartenenza più ampio che si struttura anche in relazione alla produzione artistica e culturale del territorio in cui abitiamo. Una prima considerazione riguarda la scarsa preparazione in ambito storico-artistico di molta parte del clero locale: spesso, sarebbe più utile rivolgersi a professionisti del settore, lavorando in sinergia con essi e non rinchiudersi in un atteggiamento autoreferenziale che può rivelarsi dannoso.

Una seconda considerazione riguarda il nostro agire, quello di ciascuno di noi, nei confronti di un simile evento. Infatti, a parte le indignate reazioni dei cultori della materia e degli “addetti ai lavori”, l’avvenimento si è consumato impietosamente tra l’indifferenza ed il silenzio di molti e questo non ci rende onore e ci richiama a non fregiarci di una presunta “soranità” come punto di forza solo nei momenti di acclamazione o successo.

Ricordo che, all’epoca dei fatti, un giorno, passando davanti la chiesa di San Bartolomeo, trovai la porta principale aperta e fui informato della situazione da uno sconosciuto che mi disse causticamente che il Crocifisso “doveva prendere aria”. Non avevo capito che si trattava di un ennesimo maldestro intervento di chi pensava che l’opera dovesse buttar fuori le tossiche sostanze a contatto con l’aria e mi domando ancora se potevo interessarmi di più al fatto.

In questi anni, in molti ‘non hanno capito’ o hanno ignorato (volutamente o meno); per altri, l’argomento si è rivelato come un tabù. Un esempio su tutti, ci è dato da una vicenda accaduta lo scorso anno; nel marzo 2015, alla presenza di autorità religiose, civili e degli studiosi locali (chi vi scrive era presente), è stato organizzato un incontro culturale nella chiesa di San Bartolomeo, in cui si parlava di una nuova possibile attribuzione del Crocifisso.

Il tema ‘insidioso’ del restauro non è stato nemmeno sfiorato, accennandosi solo ad un intervento conservativo; per giunta, il parroco è stato omaggiato con una medaglia dedicata a san Filippo Neri e l’assemblea si è sciolta con un sentito applauso ed una precipitosa evacuazione della chiesa utile all’imminente celebrazione della messa.

Tali atteggiamenti ci rendono tutti responsabili. Simili avvenimenti, in conclusione, ci inducono a porre in questione i giusti interrogativi e a trovare risposte più consone, mediante nuove sfide educative e di sensibilizzazione. Iniziare a parlarne e, soprattutto, a prenderne coscienza, non nascondendo la testa nella sabbia, rappresenta indubbiamente un buon punto di partenza visto che è in gioco l’identità culturale della nostra città, con la quale ognuno di noi ha il diritto e il dovere di confrontarsi.