CULTURA

Arpino – Certamen, versione e traduzione

Ecco la versione – in latino e liberamene tradotta dalla Pro Archia – assegnata ai circa 250 studenti di 14 nazioni d’Europa che stanno partecipando alla 43esima edizione del Certamen. Un’orazione che Cicerone scrisse in difesa di Aulo Licinio Archia, poeta accusato di usurpazione della cittadinanza romana.

Nullam virtus aliam mercedem laborum periculorumque desiderat praeter eam laudis et gloriae: qua quidem detracta, iudices, quid est quod in hoc tam exiguo vitae curriculo et tam brevi tantis nos in laboribus exerceamus?

Certe, si nihil animus praesentiret in posterum et si, quibus regionibus vitae spatium circumscriptum est, iisdem omnes cogitationes terminaret suas, nec tantis se laboribus frangeret neque tot curis vigiliisque angeretur nec totiens de ipsa vita dimicaret. Nunc insidet quaedam in optimo quoque virtus, quae noctis ac dies animum gloriae stimulis concitat atque admonet, non cum vitae tempore esse dimittendam commemorationem nominis nostri, sed cum omni posteritate adaequandam.

An vero tam parvi animi videamur esse omnes, qui in re publica atque in his vitae periculis laboribusque versamur, ut, cum usque ad extremum spatium nullum tranquillum atque otiosum spiritum duxerimus, nobiscum simul moritura omnia arbitremur? An statuas et imagines, non animorum simulacra, sed corporum, studiose multi summi homines reliquerunt: consiliorum relinquere ac virtutum nostrarum effigiem non multo malle debemus, summis ingeniis expressam et politam? Ego vero omnia, quae gerebam, iam tum in gerendo spargere me ac disseminare arbitrabar in orbis terrae memoriam sempiternam. Haec vero sive a meo sensu post mortem afutura est, sive, ut sapientissimi homines putaverunt, ad aliquam mei partem pertinebit, nunc quidem certe cogitatione quadam speque delector.

Pro Archia 28/29/30

 

Traduzione libera

Il valore non chiede altro compenso delle fatiche e dei pericoli, fuorchè il riconoscimento e la gloria, tolta la quale, giudici, che cosa rimane per cui dovremmo affannarci, in questa vita così breve?

Certo, se l’animo non avesse qualche speranza nel futuro e se limitasse tutti i pensieri entro lo spazio in cui è circoscritta la nostra vita, non si logorerebbe in così grandi fatiche, non si tormenterebbe in tanti affanni e veglie, non rischierebbe tante volte la vita. Ma per fortuna negli animi migliori è radicato un impulso che notte e giorno sprona con lo stimolo della gloria e impone di non limitare la memoria del nostro nome al tempo della vita, ma di estenderla alla posterità.

Ma noi, che ci occupiamo della politica dello stato, con tutti i pericoli e gli inconvenienti che questo mestiere comporta, dovremo mostrarci di animo così ristretto da credere che quanto ci circonda morirà con noi, mentre fino all’ultima ora non abbiamo avuto un momento di tranquillità e riposo? I grandi del passato si preoccuparono di lasciare di sè statue e ritratti, ma tutti erano l’immagine dei corpi, non degli animi; noi, invece, non dobbiamo piuttosto desiderare che ci sopravviva l’immagine dei nostri pensieri e delle nostre virtù mirabilmente espressa dalle opere degli ingegni superiori? Io invero, nel momento in cui compivo le azioni che ho compiuto, ero convinto che avrebbero contribuito a spargere e disseminare per il mondo l’eterna memoria. La quale memoria, o che dopo la morte non sia più percepibile dai miei sensi, o che, come pensano alcuni filosofi, possa ancora in qualche modo interessare il mio animo ora comunque mi dà piacere quando ci penso e quando spero che si realizzi.