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IL PROGETTO ARTEMIS PARLA ALLE DONNE ATTRAVERSO L’ARTE

Il grande potere comunicativo dell’arte nell’excursus

della direttrice dell’Accademia di Belle Arti,
Loredana Rea; la potenza della verità fotografica in un toccante racconto firmato dall’artista Marzia
Bianchi, lo sguardo attento e profondo delle donne nell’introduzione della portavoce Emanuela
Piroli.

Con la mattinata dedicata all’evento ‘Nella dignità e nell’arte’ il Progetto ARTEMIS (Azioni in Rete sul Territorio di Mediazione e Inclusione Sociale) ha toccato il tema della violenza e delle discriminazioni di genere sotto un profilo inedito e di alto valore culturale. Un focus dedicato al ruolo della donna nella nostra società che le tre protagoniste, a colloquio con la giornalista Lorenza Di Brango, hanno saputo arricchire raccontandosi attraverso le loro esperienze di vita e professionali.

In sala per l’occasione c’erano anche una delegazione di studenti e docenti dell’Istituto d’Istruzione Superiore ‘Sandro Pertini’ di Alatri, i referenti del Centro Antiviolenza ‘Mai più ferite’ gestito dalla cooperativa Diaconia e quelli del Consorzio Intesa e l’amministratore
unico dell’azienda speciale Frosinone Formazione e Lavoro, l’avvocato Fabrizio Zoli.

LA GIORNATA CELEBRATIVA
La scelta di promuovere un incontro dedicato alla donna nel giorno dell’anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo non è stata casuale ma è servita a ribadire i principi del rispetto dell’altro e gli obiettivi di inclusione sociale che con il Progetto ARTEMIS, la Provincia di Frosinone, nella persona del presidente Antonio Pompeo, ha deciso di mettere in primo piano.

IL SALUTO DEL PRESIDENTE
Il presidente Antonio Pompeo ha ricordato l’impegno della sua amministrazione e “il percorso intrapreso con il Progetto ARTEMIS nella lotta alla violenza di genere ma anche nella sensibilizzazione al contrasto del fenomeno. Come si vede la nostra attenzione non è circoscritta soltanto ad alcuni periodi dell’anno, ma prosegue per 365 giorni”.

LE PROTAGONISTE
Da qui è partita Emanuela Piroli, portavoce istituzionale del Progetto: “Con Marzia abbiamo concordato questa data proprio per il profondo significato che la giornata celebra e per provare, così, a confrontarci per continuare a promuovere il rispetto dei diritti, quelli della donna in tutte le sue sfere, e i diritti fondamentali legati alla dignità umana”.
Dopo aver ricordato l’emergenza sociale esplosa con l’arrivo della pandemia – le violenze domestiche proprio in seguito alle disposizioni di confinamento domiciliare hanno fatto registrare numeri impressionanti – la portavoce Piroli ha ricordato il percorso intrapreso con le associazioni che da anni operano sul territorio e la collaborazione intrapresa con le scuole della provincia,
attraverso il progetto ‘Rispettiamoci’ e con l’Accademia di Belle Arti attraverso la realizzazione di opere che, sotto la direzione della prof.ssa Eleonora Pusceddu saranno realizzate dagli studenti e donate per il Progetto Artemis.

Perché nei libri di storia non ci sono così tante donne? Nella risposta della direttrice dell’Accademia di Belle Arti, Loredana Rea, l’inizio di un viaggio che ha accompagnato il pubblico presente (e il folto numero di persone collegate online) a partire da un momento storico preciso: il 1977. “È quello l’anno in cui una storica dell’arte americana è riuscita a rompere un muro granitico che, di fatto fino a quel momento, aveva tenuto nell’ombra il ruolo delle artiste. Perché? Perché le
condizioni sociali e familiari fino a non molto tempo fa erano determinanti. Basta vederlo nell’accesso alla Formazione che solo negli ultimi tempi non è più legato al genere. E anche nella narrazione della storia dell’arte considerato che fino all’inizio del ‘900 tutte le storie sono state scritte solo da uomini. Il contributo femminile è legato alla nascita della cultura cosiddetta ‘femminista’. Soltanto attraverso questa prospettiva diversa la discriminazione di genere si è allargata anche all’arte”. Diverse le citazioni fatte dalla direttrice Rea sugli esempi (legati all’arte alla moda) che dagli anni ’70 hanno rotto il muro dei canoni fino ad allora imposti dalle convenzioni sociali e familiari. In chiusura Loredana Rea ha condiviso un ricordo che all’inizio degli anni ’90 la vide protagonista e curatrice della prima biennale ‘DonnaArte’, promossa anche allora dalla Provincia di Frosinone.

GLI SCATTI ‘INVISIBILI’ DI MARZIA BIANCHI
Con la mostra realizzata grazie alla Regione Lazio e alla volontà del consigliere regionale Sara Battisti (e allestita nell’atrio della Provincia fino al 15 dicembre prossimo), Marzia Bianchi ha raccontato com’è nata l’idea delle foto: “Lavorando come operatrice antiviolenza all’interno della rete Reama, della Fondazione Pangea, parlando con la dott.ssa Mantadori, chirurga dell’ospedale San Carlo di Milano, è nata la volontà di portare alla luce la crudezza di certe situazioni vissute dalla donne. La dott.ssa mi rispose facendomi vedere la lastra del pugnale che attraversa le costole e da lì si è sviluppato l’intero progetto. Non volevo, però, scendere nello stereotipo dei volti tumefatti: volevo entrare nella ‘banalità che c’è nel male’. La violenza assistita con la bambina nell’armadio, lo stalking con la foto della lista della spesa. A quelle del ‘San Carlo’ si sono aggiunte le radiografie del ‘San Camillo’ di Roma e anche dello ‘Spaziani’ di Frosinone. Il messaggio che intendevo dare è questo: quando si fa rete, e ARTEMIS nasce anche con questo obiettivo, la vita di una donna può cambiare”.

‘FLOR’ E IL SENSO DI ESSERE MAMMA
Per Marzia Bianchi la fotografia è diventata anche una bellissima esperienza condivisa con sua figlia Kaltuma: “L’amore della mia vita, Kaltuma, è arrivata quasi 5 anni fa e fin dal principio ci siamo ritrovate ad affrontare il problema delle mutilazioni genitali per cui spesso stava male. Kaltuma arriva dalla Somalia che è uno dei Paesi dove la pratica delle mutilazioni genitali rappresenta una pratica molto antica. Ne abbiamo parlato molto e lo abbiamo fatto anche attraverso i libri, ma non riuscivo
a spiegarle bene il funzionamento del corpo umano. Poi ho pensato ai fiori e abbiamo cominciato a mutilarli. Da lì è nato il progetto ‘Flor’, io con la macchina fotografica e Kaltuma con ago, filo, forbici, lamette, addirittura con la resina. Il progetto per tanto tempo è rimasto nei cassetti di casa e l’anno scorso abbiamo deciso, lei più di me convita di dover sensibilizzare sul tema, di
promuoverlo e devo dire che la risposta è stata enorme. Proveremo a fare squadra con altre donne che si siano trovate nella stessa condizione di mia FIGLIA”.