IL COMMENTO

La Costituzione, base da cui ripartire

di Giuseppe Filippi

Nell’immaginario collettivo spesso i due eventi storici (Il referendum Repubblica-Monarchia del 2 giugno 1946 e la successiva approvazione della Costituzione) coincidono o si sovrappongono. I due momenti fondativi della nostra democrazia, spesso, sono stati, soprattutto negli ultimi anni, dimenticati o considerati come fattori acquisiti e come tali passati nell’archivio della memoria collettiva. Le idee ispiratrici della battaglia repubblicana e della successiva Costituzione, la genesi e la storia che ne è conseguita, sono cadute nell’oblio e con esse i valori culturali e sociali di cui sono permeate. 

Tutto ciò non è accaduto per caso. Gli ultimi anni della nostra storia sono stati costellati da continue distruzioni dell’assetto politico e sociale sulla base di un mondo che cambiava a seguito della caduta del muro di Berlino. La conseguenza principale, ma non l’unica, è stata la cancellazione dei partiti che avevano animato la battaglia repubblicana con il risultato di sostituirli con altri di tipo nuovo (definiti “I partiti leggeri”). Nella realtà si sono rivelati semplicemente dei comitati elettorali e venivano acclamati come “Il nuovo che avanza”, di fatto il nulla. Il risultato è stato quello di un Paese allo sbando, sia sotto il profilo istituzionale che sotto il più ampio profilo sociale e politico. Si è determinato un vuoto, nel quale immergere le masse dei cittadini ormai spaesati e sfiduciati verso tutto ciò che è politica. Anzi, è stato fatto di peggio: sono stati cancellati i “luoghi della politica” dove un tempo i cittadini potevano partecipare, formarsi e lottare per degli ideali di miglioramento della società. 

Oggi la gente non ama più i partiti, anzi non ne ha assolutamente fiducia. E’ un bel guaio per il futuro delle nuove generazioni, private di qualsiasi orizzonte sociale, di qualsiasi prospettiva e di qualunque idea di società.  L’effetto che si è determinato è la rassegnazione generalizzata, soprattutto dei giovani, la fuga dei cervelli all’estero, la convinzione che il Paese non riuscirà più a riprendersi.

Allora la domanda da porsi è: da dove dobbiamo ripartire per riavviare un nuovo percorso di progresso e di civiltà? La risposta è scontata: dai valori fondanti che una società deve avere. La nostra Costituzione è la base da cui ripartire con forza per far si che i principi in essa contenuti siano pienamente attuati, laddove ancora non lo sono, ma, soprattutto occorre ridare slancio ai grandi temi della piena realizzazione della persona umana, sia come individui che come cittadini nel loro insieme, quali corpi unitari della società. Bisogna ripartire dai temi del lavoro, della libertà, della lotta alle nuove e vecchie povertà, dello sviluppo economico e della ricerca. 

Il 27 dicembre 1947 l’Assemblea Costituente approva la nuova Costituzione repubblicana che entra in vigore il I° gennaio 1948. 

La Repubblica e, subito dopo, la Costituzione, nascono da culture politiche assai diverse tra loro che, tuttavia, riuscirono a trovare un punto di equilibrio su valori che, anche se accettati, spesso non erano condivisi pienamente, basti pensare al ruolo riconosciuto alla religione cattolica e ai rapporti con la Santa Sede. Ciò avvenne solo per amor di patria e nella convinzione che il Paese doveva prima di tutto rinascere. Il compromesso raggiunto valeva bene la rinuncia alle posizioni più oltranziste che storicamente i tre principali partiti della Costituente (DC, PSI e PCI) avevano professato. 

Del resto, i costituenti appartenevano a culture politiche antitetiche, divise in modo profondo, con visioni della vita e del mondo nettamente differenti. Basti pensare al Trattato di Yalta che aveva diviso il mondo in due blocchi, quello dell’est, al quale guardavano i partiti della sinistra, egemonizzato dalla Russia comunista, e quello dell’occidente egemonizzato dall’America capitalista e liberale, alla quale guardava la Democrazia Cristiana. Ai costituenti tuttavia resisteva, ed ha resistito per molto tempo, un notevole nucleo di nostalgici del vecchio regime fascista, che si tennero silenti solo per un breve periodo, sopendo il risentimento verso gli antifascisti che li avevano sconfitti, grazie all’aiuto dell’America e dell’Inghilterra.

Abbiamo una Repubblica e una Costituzione che in 70 anni sono state vissute, da una parte della classe politica e del popolo, con uno scarso entusiasmo tant’è che non si è data mai piena attuazione ad alcuni dei principi fondamentali della Carta. Non sono state perseguite fino in fondo le possibilità di ampliamento dello sviluppo sociale e dei diritti che la Carta Costituzionale pure aveva previsto. 

Una Repubblica ed una Costituzione, troppo spesso lasciate ostaggio delle sole forze antifasciste e dominate dalla cultura comunista e partigiana di sinistra. Un errore, che ancora oggi, mette in discussione il vecchio adagio “abbiamo la Costituzione più bella del mondo”.  

La pacificazione del Paese avvenne con la sconfitta del fascismo, ma oggi, a più di 70 anni di distanza, il tema va ripreso e rivisto alla luce di una coscienza nazionale che abbia come faro di riferimento la lotta a tutte le dittature che limitano la libertà dell’uomo e ne negano la dignità. E’ un tema questo che non va trascurato se si vuole fare in modo che la Carta rappresenti la base fondante, almeno per i valori contenuti nella prima parte di essa, nella quale si possano riconoscere tutti cittadini, compresi gli ex e i neo fascisti (sotto le diverse etichette di partito o di movimenti), convincendoli che nel nostro paese certe posizioni sono state ormai archiviate dalla storia e che mai più potranno essere tollerate.

Non possiamo più dire che la nostra Carta Costituzionale è espressione esclusiva delle forze politiche che debellarono il fascismo. Del resto, la gran parte di quei partiti, oggi non è più neanche presente in Parlamento e, se questa strada non viene abbandonata, non si arriverà mai alla pacificazione reale del paese. Del resto la cartina di tornasole sono le varie modifiche che sono state apportate alla Costituzione negli ultimi anni. Le diverse maggioranze che si sono susseguite, di volta in volta, hanno cambiato quanto era stato fatto dai governi precedenti. Questo male non accenna a placarsi e conseguentemente la coesione sociale in tal modo si allontana sempre di più. Ma, in un momento storico come quello che stiamo vivendo, ove occorre rilanciare una nuova fase di ricostruzione morale, sociale, politica ed economica, serve una nuova presa di coscienza del senso dello stato da parte di tutte le forze politiche e dei cittadini. Non possiamo più adagiarci su vecchi stereotipi che hanno lasciato troppo a lungo il Paese nelle secche della stagnazione.

Essendo la Carta la legge fondamentale in cui tutti i cittadini si debbono riconoscere, abbisogna di condivisione vera, di partecipazione autentica, oggi più di ieri.

Nella prima parte di essa, Il preambolo, contiene i principi e i valori fondanti della nostra casa comune; rappresentano il faro che dovrebbe illuminare il cammino del popolo e dei legislatori. In essa vi sono chiaramente enunciati quelli che comunemente consideriamo i principi inalienabili dei cittadini e della società nel suo insieme.

La nostra, come si sa, è una “Costituzione di tipo rigido” che per essere modificata ha bisogno del voto favorevole della maggioranza dei 2/3 del Parlamento. Ciò fu dovuto in massima parte al “compromesso” che legò le principali forze politiche presenti nell’Assemblea Costituente: Democristiani, Socialisti, Comunisti e Liberaldemocratici. Il “compromesso costituzionale” fu, per così dire, il collante contro la paura reciproca che avevano gli uni degli altri; li tenne, alla fine, uniti nei lavori dell’Assemblea Costituente.  Oggi, invece, dobbiamo passare ad una nuova fase di riconoscimento reciproco di tutte le forze presenti sulla scena politica, alla loro piena accettazione, al rispetto delle loro genesi e dell’evoluzione che hanno avuto le loro storie all’interno del tessuto sociale, se vogliamo guardare con fiducia ai gravi problemi che stanno tormentando il nostro paese, ormai frastornato, come tanti altri, dalla globalizzazione e dalle più nefaste conseguenze che questa ha portato, soprattutto in danno dei ceti più deboli. Le migrazioni, dal sud verso il nord, dall’est verso l’ovest del mondo, ne sono una riprova.

Occorre un “Nuovo Rinascimento” per ridare al nostro paese e al mondo un volto nuovo. (Prima parte)