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Ridurre l’inquinamento da PET

A oltre un anno dallo storico accordo sulla protezione degli oceani, arriva il report ONU con le linee guida per ridurre dell’80% l’inquinamento derivante da produzione, commercializzazione e consumo di prodotti in plastica. Vediamo insieme di cosa si tratta.

Entro il 2040 potremmo ridurre l’inquinamento da plastica dell’80%, secondo un nuovo rapporto del Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP). Si sta già parlando molto di questa relazione, pubblicata il 16 maggio scorso, un po’ come se contenesse l’ingrediente segreto per la panacea contro tutti i mali. Ma di cosa si tratta? L’analisi riporta soluzioni derivanti da quelle che sono pratiche concrete, oltre che cambiamenti politici e di mercato imprescindibili che i 193 paesi membri hanno sottoscritto con lo storico accordo ONU sulla “Protezione e gestione dell’Alto Mare”, il 3 marzo del 2022. Ciò che contraddistingue per importanza questo nuovo report sono – oltre all’ambito specifico dell’inquinamento da plastica nel contesto della protezione degli oceani –  le tempistiche, perché viene reso pubblico in vista di una seconda tornata di negoziati dopo la firma dello storico accordo che i vincola gli stati firmatari ad attivare soluzioni interne entro il 2024.

Vediamo insieme quali sono le linee guida che il nuovo report suggerisce e i punti salienti che faranno la differenza tra il cosiddetto business as usual, ovvero il paradigma consumistico attuale, e il sistema circolare di uso dei materiali plastici che il report propone.

Come ridurre l’inquinamento da plastica
Per ridurre fino all’80% la quota di inquinamento derivante da produzione, utilizzo e infine consumo di plastica a livello mondiale, l’UNEP suggerisce di eliminare per prima cosa la quota di plastica inutile (vedi piatti e posate monouso, frutta e verdura in busta se il peso del contenuto è inferiore a 1,5 kg, e via dicendo) per ridimensionare il più possibile il problema. Successivamente sarà necessario predisporre tre settori di mercato per garantire un’economia circolare della plastica: riutilizzo, riciclaggio e ri-orientamento dei prodotti.

L’80% di tutta la plastica nei mari proviene dai fiumi
(di Stefano Gandelli)

Le opzioni di riutilizzo attraverso bottiglie ricaricabili, distributori di massa di acqua potabile, sistemi di vuoto a rendere – solo per citarne alcuni – può ridurre del 30% l’inquinamento da plastica entro il 2040. Un corretto riciclo del materiale contribuisce, poi, a un ulteriore 20%, ma per raggiungere questa quota è indispensabile che il riciclaggio diventi un’impresa più stabile e redditizia. Come? Secondo il report, sono necessarie la rimozione dei sussidi ai combustibili fossili e l’applicazione di linee guida di progettazione che migliorino le tecniche di riciclabilità.

Infine, riorientare e diversificare la produzione significherà sostituire prodotti quali contenitori di plastica, sacchetti e articoli da asporto e monouso con prodotti realizzati in materiali alternativi, portando a un ulteriore 17% nella riduzione dell’inquinamento dovuto alla plastica.

Sì, ma quali sarebbero questi materiali alternativi? Nel suo rapporto, l’UNEP cita la carta, il vetro e le bioplastiche esclusivamente a titolo esemplificativo e stila una tabella con i criteri per l’individuazione di materie alternative che non apportino conseguenze indesiderate, quali il cambiamento di destinazione dei terreni, l’aumento in emissioni di gas serra, reflui, rifiuti, impatti sulla salute umana e costi economici eccessivi.

Calcolo dei costi e dei ricavi
Considerando il flusso di costi e ricavi, il passaggio a un’economia circolare comporterebbe complessivamente un risparmio di 4,52 trilioni di dollari. Di questi, 1,27 per la sola parte di produzione e commercializzazione dei prodotti, e 3,25 risparmiati grazie agli impatti indiretti evitati su salute pubblica, inquinamento atmosferico, degrado dell’ecosistema marino, surriscaldamento del clima e costi connessi alle inevitabili controversie legali mosse da enti e popolazioni.

Inoltre, si registrerebbe un aumento netto di 700.000 posti di lavoro entro la scadenza del 2040, soprattutto nei paesi a basso reddito. Molte mansioni manuali tipiche di una gestione circolare come raccolta, cernita e lavaggio richiedono competenze base rintracciabili ovunque nel mondo mentre, in uno scenario di business “as usual”, la produzione di plastica vergine richiede manodopera altamente qualificata e macchinari costosi tipicamente concentrati in paesi ad alto reddito.

Ovviamente, per realizzare il modello proposto, l’UNEP ha stimato dei costi: 65 miliardi di dollari annui (contro i 113 miliardi che già vengono investiti sul modello attuale), dove la percentuale più alta riguarda gli oneri operativi. Tuttavia, come si legge dalla relazione, regolamentando i criteri di progettazione e realizzazione dei manufatti e favorendo politiche di responsabilità estesa del produttore (EPR) dove questo ha l’obbligo di finanziare la raccolta, il riciclo responsabile e lo smaltimento finale dei residui plastici, si coprirebbe una parte dei costi operativi. Un’altra importante quota dell’investimento complessivo potrebbe essere disposta dislocando i finanziamenti previsti per nuovi impianti di produzione che, seguendo le linee guida per un approccio circolare, si rivelerebbero sempre meno necessari.

Ce la faremo?

Potremmo, ma è fondamentale che i decisori politici siano disposti ad adottare una visione a lungo termine e pacchetti di iniziative volte a rendere i prodotti riciclabili economicamente – oltre che operativamente – convenienti. Le soluzioni ci sono e i vantaggi pure, e non sono una novità ma il frutto di anni di ricerca e negoziati. Ciò che l’UNEP si propone è di metterli nero su bianco affinché finalmente vi sia una presa di coscienza forte e un netto cambio di traiettoria da parte di tutti i 193 governi, Italia inclusa. Senza questi, quasi 20 anni di negoziati saranno stati totalmente inutili!

Credits: Geopop